Lo ammetto, per mestiere scrivo. Così lo so che ogni volta che sono a cena con persone nuove, se dico che sono una giornalista e una scrittrice, prima che arrivino il conto e il caffè ho almeno un paio di richieste. Ogni volta è la stessa storia e torno a casa con una raccolta di (pessima) poesia e un libro (terribile) di racconti.
“Posso mandarti quello che ho scritto?”
In genere sono due le domande più ricorrenti. E siccome ho la fortuna di fare il lavoro più bello del mondo e il mio più che un lavoro è un privilegio, mi piego alle domande e tento di dare risposte. La prima: ma come fai con l’ispirazione? La seconda: posso mandarti quello che scrivo, così mi dici cosa ne pensi e magari lo dai al tuo editore? Ogni volta mi ritrovo a dire le stesse cose. La scrittura è più tecnica che arte, anche se serve molta creatività, un po’ come in pasticceria. La creatività si sovrappone alla tecnica e crea le cose buone. Mandami pure quello che scrivi, ma sull’editore non ti assicuro niente. E ogni volta mi interrogo sul perché tutti, ma proprio tutti vogliano scrivere. E nessuno, o quasi, invece voglia leggere.
Tutti voglio scrivere…
Stando ai dati Istat, diffusi da neanche due mesi, in occasione della Giornata mondiale del libro, in Italia quasi 24 milioni di persone leggono almeno un libro all’anno. Ma se quel libro è il nuovo best seller di Bruno Vespa (il che è altamente probabile), o uno qualsiasi dei libri di qualche chef in voga, cari amici aspiranti autori, siete spacciati, nessuno leggerà il vostro.
E infatti Eileen Gittins, amministratore delegato di Blurb, una casa editrice print on demand (cioè di stampa su richiesta) ha portato il fatturato in due anni da uno a trenta milioni di dollari, a dimostrazione che tutti, anche fuori dal suolo patrio, vogliono scrivere. Gittins ha però dichiarato, con fin troppa franchezza, che la maggior parte dei libri pubblicati hanno venduto una sola copia, acquistata dall’autore stesso. Insomma, prima di scrivere e pubblicare un libro pensateci bene. Neanche vostra madre vuole leggere pessima letteratura. Robert “Bob” Young, amministratore delegato di Lulu, altra piattaforma digitale di self publishing (ovvero di auto-pubblicazione) ha recentemente dichiarato: “In questi anni abbiamo semplicemente pubblicato la più vasta raccolta della peggior poesia di tutta la storia dell’umanità”. Viva l’onestà, sempre!
…ma in pochi leggono
In Italia nel 2016 sono stati stampati e messi in vendita, sempre stando ai dati Istat, 61.188 titoli (+3,7% rispetto al 2015), dei quali, un terzo, cioè 21.930, si trova anche in formato e-book. La maggior parte dei libri pubblicati sono in verità titoli già consolidati (per intenderci i classici) e 8 su 100 sono per ragazzi e ragazze, con un trend che fa ben sperare sulla lettura e le nuove generazioni, +4,5% rispetto al 2015. Gli under 14 insomma leggono, e tanto, magari mentre mamma e papà sognano di pubblicare il loro primo libro.
A questo proposito, in occasione del Salone del Libro di Torino, che si è svolto in primavera, e di quello di Milano (alla sua prima edizione quest’anno), sono emersi alcuni dati imbarazzanti. Per esempio il fatto che in Italia aumentano i non lettori e il 30% dei nostri connazionali non legge per mancanza di tempo. In particolare questo motivo è indicato dal 31,8% degli uomini e dal 27,7% delle donne. Dai dati emerge che il 23,7% di chi non legge preferisce altri svaghi rispetto ai libri, il 15,9% ha motivi di salute che allontanano dalla lettura “non ci vedo più bene, sono anziano” e il 9,1% è troppo stanco dopo aver svolto altre attività. Il motivo economico “i libri costano troppo” è scelto invece dall’8,5% dei non lettori. Televisione, radio, pc, cinema hanno la meglio sui libri, per il 6,5% dei non lettori.
I non lettori non sono certo pochi, anzi. Oltre 22 milioni di italiani non hanno letto nemmeno un libro nel 2015, ma, ne sono certa, la stragrande maggioranza di loro potrebbe benissimo essere un aspirante scrittore, uno di quelli che a cena, con voce impostata, ti dice “vuole leggere le mie poesie?”.
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La truffa in agguato
Ed è per loro – per i non lettori, ma sicuri aspiranti scrittori – che la truffa è dietro l’angolo, perché fra i 1.505 editori attivi nel 2016 (è il dato Istat più aggiornato in circolazione), tante, tantissime sono le famigerate case editrici a pagamento. Attenzione, si tratta letteralmente di un controsenso, perché in editoria vige una sola regola aurea: è l’editore che paga l’autore e non viceversa. D’altra parte se qualcuno a tutti i costi vuole pubblicare in un libro a imperitura memoria le gesta dello zio, la lapide del nonno e magari anche la pagella del trisavolo, allora gli “EAP”, editori a pagamento, sono in agguato.