Secondo gli addetti ai lavori, questo è uno dei periodi peggiori per chi soffre di insonnia. Con l’ora solare, infatti, aumentano i sofferenti e i forzati delle ore piccole.
Ma ci sono individui più portati a soffrire di insonnia? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Laura Palagini, psichiatra psicoterapeuta presso l’U.O. di Psichiatria II universitaria, azienda ospedaliera universitaria pisana, responsabile dell’ambulatorio per il trattamento dei disturbi del sonno in psicopatologia.
“Sì”, ci ha risposto: “In effetti si è visto che alcune persone son più predisposte di altre a sviluppare l’insonnia. In parte è una cosa che si eredita, mentre in parte dipende dalle caratteristiche psicologiche dell’individuo. Poiché è una patologia stress-correlata i soggetti che presentano tratti ansiosi di personalità, oppure sono di natura poco flessibili, un po’ rigidi, o tendono a rispondere agli eventi stressanti pensando troppo invece che trovando delle soluzioni, sono più predisposti a sviluppare l’insonnia rispetto ad altri in seguito a un evento stressante. Inoltre se si è sofferto di insonnia nell’infanzia è molto probabile che questa tenda a persistere, se non curata, in età adulta o si possa ripresentare da adulti”.
L’insonnia colpisce anche bambini e adolescenti. Per quale motivo?
Ci sono molti fattori che possono contribuire all’insorgenza di insonnia o problemi di sonno in età infantile e adolescenziale. Per quanto riguarda l’età infantile le cause sono multifattoriali ma sembrerebbero determinanti i fattori ambientali e l’interazione con i genitori nel periodo post natale. Ci sono tuttavia alcune evidenze che anche fattori stressanti nella vita prenatale possono contribuire all’insorgenza dell’insonnia in età infantile.
Per quanto riguarda il periodo adolescenziale, i fattori sociali ambientali e relazionali sembrano avere un effetto determinante, basti pensare all’uso del computer fino a notte o del telefono per comunicare con gli amici fino a tardi. In generale durante il periodo adolescenziale è più difficile seguire le regole, tra cui quelle relative a una buona igiene del sonno ed è molto facile avere disturbi del ritmo circadiano, con un ritmo spostato in avanti e una tendenza ad andare a letto tardi e alzarsi tardi al mattino.
Quali cure sono più indicate in questi casi?
La terapia in entrambe le fasce di età è prevalentemente psicologica e comportamentale.
Quali conseguenze può avere un’insonnia non curata?
Sappiamo che l’insonnia non curata, o un sonno disturbato cronicamente, sono un fattore di rischio per lo sviluppo di malattie psichiatriche come l’ansia e la depressione, ma anche malattie metaboliche come il diabete e l’obesità, o per malattie cardiovascolari come l’ipertensione. Inoltre la mancanza di un buon sonno è implicata anche nell’insorgenza di alcune malattie neurodegenerative e nelle malattie dolorose.
Quando sono di aiuto i medicinali? Possono avere effetti collaterali?
I medicinali sono farmaci ipnoinducenti molto utili nelle fasi acute di insorgenza dell’insonnia. Assunti anche per breve tempo, e tuttavia per non più di 3 settimane, favoriscono la remissione dell’insonnia. A oggi c’è anche una forma di melatonina a rilascio prolungato che può essere utilizzata anche per periodi più lunghi. Gli effetti collaterali ovviamente dipendono da farmaco a farmaco, tuttavia si cerca di utilizzare la dose efficace per quella persona in modo da ridurre il rischio di effetti non desiderati. I farmaci a disposizione per l’insonnia utilizzati secondo le linee guida da specialisti del settore sono in generale bene tollerati.
Esiste una “via d’uscita” definitiva e se sì in quanto tempo?
In generale dipende anche da quanto il problema si prende seriamente e dal fatto di affrontarlo in un modo corretto, con volontà di risolverlo. La terapia cognitivo comportamentale dell’insonnia, Cbt-I, si propone di trattare il disturbo in 6-8 settimane e di insegnare delle strategie per prevenire le ricadute. Tuttavia anche i trattamenti con farmaci si propongono di curare l’insonnia nell’arco di un mese e di riformulare il caso se non c’è risposta al trattamento. Quindi sì, se ne esce se il trattamento è quello adeguato al disturbo e alla persona.