Negli ultimi anni in Italia molte persone in presenza di un mal di schiena si sono rivolte a un osteopata. E non solo in questi casi, dato che a leggere l’elenco dei disturbi per i quali si ricorre più frequentemente all’osteopatia ci sono: nevralgie, spasmi e crampi muscolari, cefalee emicranie, costipazione, sindrome del colon irritabile, dolori reumatici e asma. Secondo i dati Istat e Eurispes si tratta del 7-8% della popolazione, con un grado di soddisfazione del 78%.
In cerca di regole
L’osteopatia, disciplina che si basa sulla manipolazione ossea, nata nell’Ottocento negli Stati Uniti, volta a riequilibrare il nostro corpo con precise distorsioni e pressioni sulle fasce in ammate dei muscoli, in Italia non è però riconosciuta come professione sanitaria. L’anno scorso il governo francese ha stabilito regole ferree per regolamentare la professione e ha chiuso 23 scuole di formazione su 37. Da noi il ministero della Salute ha elaborato una proposta di normativa presentata come emendamento al ddl 1324/14 per l’istituzione della professione di osteopata, “garantendo la dovuta dignità professionale ai numerosi operatori ancora costretti a operare confrontandosi con un assetto normativo incerto”. Il disegno di legge tuttavia è ancora fermo in commissione di Bilancio e gli osteopati fremono.
“Colmiamo uno spazio lasciato vuoto”
Il Salvagente ne ha parlato con il presidente del Roi (Registro degli osteopati d’Italia), Paola Sciomachen: “La regolamentazione ci deve essere, innanzitutto a tutela del cittadino, poi per noi professionisti e per valorizzare la professione stessa. Oramai in quasi tutta Europa l’osteopatia è riconosciuta come una professione sanitaria, e la diffusione è tale da meritare un riconoscimento definitivo anche da noi. Non si possono lasciare senza regole dei professionisti che si occupano della salute”.
Da dove viene tanta resistenza a inquadrare la professione? Getta acqua sul fuoco Paola Sciomachen: “Non vogliamo entrare in nessuno confitto d’interesse, conosciamo bene il nostro ruolo. Non siamo medici e nemmeno fisioterapisti, ma collaboriamo sia con gli uni che con gli altri. Ciascuno nell’ambito dei propri ruoli e delle proprie competenze può essere identificato in una professione. Se no ad oggi l’osteopatia ha avuto tanto successo è perché è andata a colmare uno spazio lasciato vuoto dalla sioterapia e dalla medicina, poiché non si occupa solo del trattamento della patologia ma anche della sua disfunzione”.
La scelta della scuola
Dopo la decisione francese di avviare un giro di vite contro le “finte” scuole di formazione, come siamo messi in Italia e come si riconosce una buona scuola? “Noi come associazione – aggiunge la presidente del Roi – abbiamo al nostro interno delle scuole associate che si adeguano a programmi concordati. I programmi sono quelli che fanno riferimento alle linee guida del ministero della Sanità e ora anche al documento Cen, un documento condiviso a livello europeo, adeguando così ogni progetto di formazione a precisi standard qualitativi”.
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Dove non arriva il chiururgo
Anche il professor Pola, si esprime positivamente sul ruolo dell’osteopatia, tracciandone però un confine: “L’osteopatia ha un ruolo dove non c’è un’indicazione chirurgica da seguire. L’ortopedico, il chirurgo vertebrale, il neurochirurgo, sono degli specialisti che, di fronte a una patologia che può configurare un’evoluzione negativa, devono e possono intervenire chirurgicamente. Ci sono però situazioni: stress, lutti familiari, una cattiva condizione lavorativa che favoriscono contratture muscolari – e conseguenti lombalgie – che non sono di pertinenza ortopedica neurochirurgica o chirurgica”.
E in questi casi cosa si consiglia? “In questi casi l’osteopatia è una buona soluzione. L’ortopedico stesso dopo una visita e i dovuti esami strumentali, se si accorge che il problema non è grave indirizza, a seconda dei casi, il paziente dal sioterapista o dall’osteopata”.