La Corte di Cassazione ha fatto tabula rasa di una serie di clausole apposte sulle polizza vita, considerandole vessatorie.
Con una decisione di fine agosto (n. 17024/2015) dai toni decisamente perentori – sentenza che prende spunto da una vicenda avente a oggetto la riscossione di una polizza vita caso morte – la suprema Corte ha difatti chiarito quali condizioni le compagnie assicurative non possono inserire tra quelle generali del contratto per imporle al cliente, individuando una vera e propria lista nera di richieste vessatorie.
Secondo la Cassazione sono quindi nulle, se inserite nel contratto, le clausole in base alle quali il beneficiario deve:
formulare domanda di indennizzo su apposito modulo predisposto dall’assicurazione (questa clausola viola il principio di libertà delle forme);
sottoscrivere la relativa richiesta presso l’Agenzia di competenza (richiesta che viola la libertà personale e di movimento del beneficiario);
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produrre una relazione medica sulle cause della morte redatta da un medico su un modulo dell’assicuratore e produrre anche una dichiarazione del medico autore della relazione in cui questi attesti di avere “personalmente curato le risposte” (clausole bocciate perché causano un “non irrilevante onere economico” al beneficiario, addossandogli anche un obbligo, quello di documentare le cause del sinistro, che certamente non gli compete);
presentare, a semplice richiesta, le cartelle cliniche relative ai ricoveri della persona deceduta (clausola vessatoria sia perché non pone limiti temporali ai ricoveri da documentare, sia perché, ancora, pone sul beneficiario un onere economico ingiustificato e sia, infine, perché lo obbliga a contrastare eventuali eccezioni sollevate dalla struttura sanitaria che dovesse rifiutare il rilascio della documentazione clinica per giusti motivi di riservatezza);
produrre un atto notorio riguardante lo stato successorio del deceduto;
produrre l’originale della polizza (richiesta inutilmente gravosa perché l’assicuratore ne è già in possesso).
Una serie di condizioni, insomma, già di per sé gravose – scrivono i giudici – che insieme costituiscono un “cocktail giugulatorio ed opprimente per il beneficiario”, cui tra l’altro non fa da contraltare alcun reale beneficio per l’assicuratore. L’unico risultato evidente dell’inserimento di queste clausole è solo quello di creare ostacoli al beneficiario della polizza che tenta di riscuotere l’indennizzo.