Inappropriate. È con questo aggettivo che in questi giorni sono state classificate 208 prestazioni sanitarie che il SSN riconosce ai cittadini, e che entreranno in una “black list” che, di fatto, ne limiterà l’accesso ai cittadini. Si tratta appunto del cosiddetto “decreto inappropriatezza”, elaborato in una dorata solitudine dai tecnici del ministero della Salute, e adesso al vaglio dei soli sindacati medici dopo le modifiche apportate dalle Regioni. Ma andiamo per passi.
PAGATE DI TASCA VOSTRA
Il ministero indica per Decreto accanto a ognuna delle prestazioni indicate, le «condizioni di erogabilità», ovvero i criteri in base ai quali il medico può prescrivere comunque al paziente quella determinata prestazione a carico del Servizio sanitario nazionale. Se non ricorrono le condizioni elencate nel documento, il paziente dovrà pagare di tasca propria. Accanto a questa, che è di fatto una vera limitazione dell’accesso alle prestazioni, si aggiunge anche la possibilità di una multa per il medico che non dovesse attenersi alle indicazioni, prescrivendo delle prestazioni ritenute appunto “inappropriate”. Il risparmio stimato in questo modo è di 13 miliardi di euro. E il ministro, incalzato sul contenuto che non piace alla maggioranza degli attori, in primis ai cittadini, è intervenuto indorando la amara pillola: “queste risorse potrebbero essere redistribuite all’interno del SSN per garantire un accesso migliore, ad esempio, alla diagnostica oncologica”. Nonostante l’uso del “potrebbe”, ovviamente la dichiarazione ha ottenuto l’immediato plauso di una categoria sindacale dei medici oncologici.
Al di là dei giochini di parole, nella maggioranza degli interessati, la manovra appare come una vera e propria diminuzione della possibilità di accedere alle prestazioni elencate nel Decreto. Sono infatti diversi gli aspetti che giustificano un senso di preoccupazione.
NIENTE CRITICHE
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Anzitutto, il decreto interviene dopo tagli miliardari al finanziamento del SSN già effettuati, mentre sappiamo già che nel 2016 ce ne saranno ulteriori, sotto forma di mancato aumento del Fondo Sanitario Nazionale che era stato previsto per l’anno prossimo appunto, e un taglio (riqualificazione della spesa, direbbe il ministro) di circa 10 miliardi per i prossimi 4 anni previsto dal recente decreto enti locali. Una piccola nota di colore (maligna): il coordinatore degli assessori regionali alla sanità (VII Commissione Salute della Conferenza delle Regioni) che all’epoca si era schierato apertamente contro i tagli, il veneto Luca Coletto (che il 28 luglio aveva anche evidenziato come delle prestazioni inappropriate ancora non avesse visto nulla), è stato stranamente sostituito nel ruolo dall’assessore dell’Emilia-Romagna Sergio Venturi i primi giorni di settembre.
Tornando alle preoccupazioni, è molto strano che su un argomento come questo si intervenga con un Decreto, mentre esistono strumenti come il Patto per la Salute (accordo Governo-Regioni), documenti di indirizzo, protocolli e linee guida.
LA PREVENZIONE? A SPESE DEL CITTADINO
Ancora, nella lista sono inserite prestazioni che fanno parte di campagne di prevenzione importanti, come quelle per il rischio cardiologico. Per fare un esempio, l’esame per il colesterolo o per i trigliceridi. È previsto che sia eseguito “come screening in tutti i soggetti con più di 40 anni e nei soggetti con fattori di rischio cardiovascolare o familiarità per dislipidemia o eventi cardiovascolari precoci. Ma in assenza di valori elevati, modifiche dello stile di vita o interventi terapeutici, l’esame è da ripetere a distanza di 5 anni”, prima di poter essere nuovamente a carico del Ssn. O, ancora, l’esame “tempo di protrombina”. A molti non dirà granché, ma si tratta di un esame importante perché stabilisce il grado di fluidità del sangue, e serve a prevenire ictus e infarto, e che interessa molto da vicino la popolazione anziana afflitta da problemi cardiocircolatori. Ebbene, anche questa analisi andranno pagate di fatto di tasca propria, con una spesa di circa 50 euro, visto che l’analisi va realizzata in condizioni di rischio almeno una volta alla settimana.
Di fatto quindi, il decreto interviene duramente su due aspetti fondamentali della cura e della prevenzione: sul rapporto medico-cittadino e sulla libertà di prescrizione dei medici. Messi da parte gli eccessi, sia da parte del paziente che richiede, che dal medico che concede per timore o stanchezza, si limita molto la libertà di azione di cura. Chi lavora come medico sa che in molti casi si va anche per esclusione: nel caso in cui non si capisca esattamente l’origine di una patologia, si sottopone i paziente a diverse analisi, al fine di escludere possibili patologie e arrivare alla anamnesi precisa. Ecco, questo per esempio non sarà più possibile.
BASTA GIOCARE AI PICCOLI… PAZIENTI
Così come, al grido di “lotta alla medicina difensiva”, cioè all’eccesso di prescrizioni mediche per paura di cause intentate dai cittadini, si limita l’accesso a screening preventivi come la mammografia. D’altronde, ( e mi scuso per i toni sarcastici) chi di noi non si diverte a farsi fare un bel bombardamento di radiazioni per sottoporsi inutilmente a una tac?
Chi donna non si diverte a sottoporsi a un esame piacevole come la mammografia? Insomma, chi di noi non si sveglia la mattina pensando alla bellezza del sottoporsi alla fila dal medico, poi alla Asl o in ospedale per pagare il ticket, a quella per sottoporsi ad una prestazione, e poi a quella per ritirare i risultati?
Il disegno pare invece quello di una lenta erosione dell’universalità del SSN, al grido della non sostenibilità. Grido più volte contrastato anche da dati economici, come il fatto che ¼ degli investimenti in spesa sanitaria pubblica rientrino come voce attiva nel PIL, o che in questi anni, tra tagli e ticket, i cittadini abbiano già visto crescere le limitazioni di accesso alle prestazioni. Con il risultato della diminuzione dei tassi di prevenzione e cura, crescita della spesa privata, e aumento delle persone che a causa delle ristrettezze economiche rinunciano alle cure. Per non parlare della crescita dei tempi di attesa per le prestazioni diagnostiche, tempi lunghi che iniziano a farsi sempre più presenti anche per le prestazioni chirurgiche.
Per non parlare del fatto che, come hanno fatto notare esponenti sindacali, il tutto sia stato elaborato sulla base di un elenco delle prestazioni “garantite” (LEA-Liveli essenziali di assistenza) risalenti al 1996. E senza il minimo confronto con le organizzazioni di tutela dei cittadini e dei pazienti con patologia cronica o rara, che probabilmente qual cosina da dire la avrebbero.
Per chiudere, dobbiamo aspettarci un futuro che il nostro medico ci dica “guardi, viste le condizioni, io le avrei prescritto…., ma non posso. Le consiglio comunque di farla”? Come diceva un vecchio della politica “a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina”. E domani, 25 settembre, scadono i termini per presentare delle proposte di modifiche. Vi terremo aggiornati.