Il Po? Avvelenato (anche) da pesticidi di 25 anni fa

Il bacino del Po è una bomba ambientale pronta ad esplodere, con un potenziale nocivo di cui nessuno oggi è veramente in grado di anticipare la portata?

Sembrerebbe di sì, visti i risultati del report sull’inquinamento da pesticidi che l’Ispra (l’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha appena pubblicato. Ma se la situazione è certamente serissima, non ci si deve arrendere: occorre trovare soluzioni rapide ed efficaci, perché invertire la rotta è ancora possibile.

L’Ispra, dunque, lancia l’allarme. Alle istituzioni il compito di raccoglierlo e rispondere adeguatamente.

 

ANCORA ATRAZINA

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Il rapporto, intitolato “Sostenibilità ambientale dell’uso dei pesticidi – il Bacino del Po”, è il frutto di un lungo monitoraggio iniziato nel 2003  che ha permesso di studiare l’evoluzione della contaminazione chimica nel bacino del fiume Po (l’area economica più importante d’Italia, attorno alla quale vivono circa 16 milioni di persone), evidenziando infine la presenza di numerosi pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee, con tracce rilevanti di alcuni erbicidi addirittura non più usati da decenni.

Come l’atrazina, ad esempio, l’erbicida utilizzato soprattutto nella coltura del mais nella zona padano-veneta e vietato dal lontano 1992: ebbene, dopo 25 anni, l’atrazina è ancora presente nelle acque sotterranee del bacino del Po. Il che significa che la sostanza persiste nell’ambiente ben più a lungo di quanto si era stimato molti anni fa in fase di autorizzazione all’uso. E purtroppo, insieme all’atrazina, altri pesticidi banditi negli anni 2000 (come simazina e alaclor) continuano ad avvelenare le nostre acque.

ANCHE 20 PESTICIDI AD AVVELENARE LE ACQUE

Il rischio ambientale e per la salute umana è dunque molto serio, aggravato dal fatto che finora è stato sottovalutato o, quantomeno, non affrontato con gli approfondimenti che avrebbe meritato. In particolar modo – ricordano gli autori del report – le lacune maggiori riguardano l’effetto combinato del mix di pesticidi presenti nelle acque: sembra infatti impossibile, ad oggi, prevedere come si possano combinare tra loro questi veleni (in alcuni punti si è individuata una miscela di ben 20 pesticidi diversi) e quale possa essere il loro effetto sull’ambiente e sulla salute umana.

E NON MANCA IL GLIFOSATO

Intanto i dati parlano chiaro: quanto alle acque superficiali sono stati rilevati pesticidi nel 70% dei siti monitorati, e le sostanze più rilevate sono state il glifosato (l’erbicida più utilizzato al mondo, classificato come potenziale cancerogeno per l’uomo dallo Iarc, l’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro), il suo metabolita Ampa, l’imidacloprid, la terbutilazina, il suo metabolita terbutilazina-desetil e il metolaclor; per le acque sotterranee, la percentuale dei siti inquinati è del 40%, con la presenza soprattutto di erbicidi triazinici e i loro metaboliti.

Secondo il rapporto, la terbutilazina è attualmente il principale contaminante del bacino del Po, presente nel 42,9% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e nel 5,4% di quelli delle sotterranee (dati 2014). Analoga diffusione si ha per il metabolita desetil-tebutilazina. E il futuro di queste sostanze potrebbe essere analogo a quello dell’atrazina, data l’appartenenza alla stessa famiglia, ovvero una persistenza nell’ambiente che vada ben oltre i limiti che si erano immaginati all’epoca della loro autorizzazione.

“ ESTREMAMENTE PREOCCUPANTI” ANCHE A BASSE CONCENTRAZIONI

Altro profilo problematico evidenziato dal rapporto dell’Ispra riguarda la valutazione di pericolo per alcune sostanze “estremamente preoccupanti” rinvenute nelle acque del Po e per le quali non esiste una soglia di pericolo. Si tratta di sostanze cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione (CMR), di interferenti endocrini (come l’atrazina), di sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche (PBT): per esse, non essendoci – come detto – una soglia di pericolo, non è possibile stabilire un livello di sicurezza e quindi, sempre secondo l’Ispra, risultano rilevanti anche le basse concentrazioni cui sono esposti gli organismi viventi.

 NORMATIVE  INSUFFICIENTI

Ora la domanda è: qual è la reale sostenibilità dell’inquinamento chimico? Quanto l’ambiente è in grado di conservare il suo ecosistema?

Da un punto di vista normativo, la regolamentazione europea sull’uso dei pesticidi è piuttosto severa, richiedendo valutazioni di rischio prima dell’immissione sul mercato e di “fine vita”, con la definizione di livelli considerati non pericolosi negli alimenti e nell’ambiente. Ma come dimostra il monitoraggio dell’Ispra, le norme – anche stringenti – non sono state in grado di prevenire una contaminazione diffusa da pesticidi, come quella cui stiamo assistendo.

La conclusione, secondo l’Ispra, è che il rispetto delle leggi non può essere che la base di partenza. Una reale tutela ambientale deve passare, invece, dalla considerazione della capacità degli ecosistemi di rispondere ai fattori di stress antropici e dalla loro capacità di ripristinare le condizioni precedenti, o almeno condizioni ecologicamente sostenibili (resilienza).

Il primo passo, dunque, deve essere fatto nel senso di superare le lacune di conoscenza relative agli effetti nocivi dei pesticidi, soprattutto in combinazione tra loro. Pragmaticamente, insomma, il primo obiettivo deve essere quello di individuare i reali livelli di contaminazione chimica sostenibili. Per non fare peggio di quanto si è fatto finora, e per poi finalmente invertire la rotta.