Radioattività, il buco dei porti italiani

Un grosso buco alle frontiere italiane che potrebbe far entrare merci radioattive attraverso i nostri porti marittimi. E la cosa sconcertante, come ha scoperto il Test Salvagente, è che gli strumenti per difenderci ci sarebbero, dato che sono stati spesi miliardi per acquistarli, ma non si usano. Il perché è un mistero. Le merci contaminate, di vario genere e tipologia, possono andare dai comuni mestoli ai bulloni dai tegami alle insospettabili piastrelle. I prodotti assemblati con leghe sparute e metalli provenienti dal Sud Est Asiatico sono quelli a maggior rischio.

Pagati e mai utilizzati

Nel 1999 sono stati spesi circa 45 miliardi di lire per dotare i valichi di frontiera portuali di appositi portali scanner, denominati RTM910, necessari per rilevare la radioattività dei carichi provenienti da altri Stati. L’obiettivo era di impedire l’ingresso nel territorio nazionale di carichi di metalli o merci contenenti fonti radioattive. Una questione di straordinaria rilevanza, dal momento che il nostro paese è un forte importatore di metalli.

Questi speciali scanner, collaudati nel 2003, non sono mai entrati a regime, se non per brevi periodi e tranne alcune eccezioni. Eppure, nel 1996, il Parlamento italiano aveva approvato la legge n.421 dove, all’articolo 10, si individuano uno per uno i ministeri attuatori e responsabili di tale vigilanza. I soggetti coinvolti sono tre: il ministero dell’Industria, per l’acquisto e l’installazione dei sistemi di controllo; il ministero delle Finanze, per la disponibilità delle aree di istallazione (le dogane); quello dell’Interno, per utilizzo e controllo, affidato al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.

Il ministero dell’Industria ha quindi acquistato e installato 25 portali scanner fabbricati in Finlandia e importati in Italia dalla Sepa, società con sede a Torino. Uno di questi è istallato al porto di Gioia Tauro (serie 85 – n°1 cabina). “Nel 2003 avvenne il collaudo, ma il portale non è mai entrato in funzione”, denuncia Domenico Rositano, presidente di Legambiente Aspromonte.

A ribadire le responsabilità del ministero dell’Interno, attraverso il corpo dei Vigili del Fuoco, è la circolare ministeriale (n.6 prot. 2952/24205) del 22 maggio 2002 che, nell’ambito degli interventi tradizionali e non convenzionali, attribuisce ai Vigili del Fuoco le competenze per le emergenze di tipo chimico, biologico, nucleare e radiologico.

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Controlli insufficienti

 

Che questi scanner non siano tutt’ora operativi lo ribadisce Antonio Jiritano, sindacalista Usb e coordinatore nazionale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco: “I rischi per l’incolumità pubblica sono molteplici nel nostro paese dove, senza adeguati controlli, passa di tutto. Una situazione che riguarda anche il porto di Gioia Tauro”.

A confermare questa fotografia di controlli insufficienti è Nuccio Barillà, della segreteria nazionale di Legambiente: “La mancata attivazione dei portali scanner RTM 910 è stata rimpiazzata da controlli attraverso strumentazioni manuali portatili. Ma ci vuole poco a capire che si tratta di controlli inadeguati, parziali e del tutto insufficienti”. Già nel 2009 c’è stata una denuncia pubblica fatta da un sindacalista della Cisl, Bonventura Ferri, che indirizzò la questione ai prefetti, al presidente della Regione e ai sindaci: nessuna risposta. “Non si è mosso nulla, incredibilmente, nessuna risposta”, continua Barillà. “C’è stato solo un imbarazzante e imbarazzato silenzio: i soldi investiti per dotare i porti di sistemi di controllo, sono stati, nella maggioranza dei casi, buttati al vento. Prima o poi qualcuno dovrà pur dare una spiegazione”.