Costi di recesso, l’Agcom indaga per verificare la correttezza degli operatori telefonici

Lo scorso novembre, con la delibera 487/18/Cons, l’Autorità garante per le comunicazioni ha imposto agli operatori una disciplina relativa ai costi di recesso, incluse le rate residue per servizi offerti in comodato, che non fosse più punitiva per gli utenti: i costi amministrativi e tecnici per chiudere un contratto devono essere ridotti e in ogni caso non superare il valore medio del canone mensile. Inoltre, qualsiasi servizio offerto in comodato, o qualsiasi sconto conteggiato all’inizio “a patto che…” deve essere chiesto indietro all’utente in maniera proporzionale al tempo che lo stesso ha già passato con la compagnia.

Il tentativo degli operatori di bloccare le nuove regole

Regole chiare che, però, a ben guardare tra le offerte degli operatori non sono state ancora messe in pratica in molti casi. Gli operatori, nonostante le disposizione dovrebbero essere operative già dallo scorso gennaio, hanno preso tempo tramite una richiesta di sospensiva al Tar del Lazio, che avrebbe dovuto esprimersi lo scorso 6 febbraio, ma il tribunale amministrativo ha rinviato il tutto al prossimo ottobre. L’Agcom, forse approfittando proprio del rinvio, ha deciso di mettersi sulle tracce degli operatori renitenti ad adeguarsi alle nuove regole. Similmente, a primavera iniziata, è tempo di verificare come i gestori si stiano effettivamente adeguando alle disposizioni in merito al modem libero (dal 2019 i fornitori di linea fissa non possono imporre il proprio modem al consumatore) e ai bollini a semaforo per rendere trasparente la reale velocità della fibra che arriva a casa. Secondo Repubblica, in parallelo all’Agcom starebbe indagando anche l’Antitrust.