Cinque cose sui formaggi che (forse) non sapevate

Non saremo francesi ma la passione per i formaggi è comune anche a noi. Ma quanto ne sappiamo? A giudicare dai miti che circondano questi alimenti, c’è ancora molto da conoscere su uno dei cibi che sulla nostra tavola non mancano. Li affrontiamo questa settimana nella nostra consueta rubrica Miti Alimentari.

Il mio peso forma mi induce a consumare dei formaggi light per evitare di ingrassare troppo…

FALSO Oggi sono presenti sul mercato molti formaggi definiti “light”, di solito a pasta filata o, ancora più frequentemente, sotto forma di prodotti con una struttura a fiocchi che trasferiscono ai consumatori un messaggio di leggerezza e di basso rischio per la salute. Gran parte dell’umanità, più che conquistare Marte o portare avanti grandi progetti, ha interesse a dimagrire con poco sforzo e mangiando solo ciò che piace e senza limiti. Questi presupposti spianano la strada a prodotti leggeri e poco calorici; nel caso dei formaggi è il grasso a essere sul banco degli imputati e a subire qualsiasi vessazione tecnologica e sensoriale. Il grasso, però, serve in tutti gli alimenti perché ne favorisce, ad esempio, la spalmabilità. Inoltre, la componente grassa ha la funzione di veicolare il sapore attraverso la parte alta del palato da dove gli aromi vanno poi nel naso. Il grasso in un formaggio dà anche la consistenza giusta per avere una struttura ben equilibrata. Se si elimina la parte grassa, occorre modificare il processo di caseificazione, il tempo e la temperatura a cui si lavora e spesso si devono aggiungere dei coadiuvanti tecnologici che dovrebbero scomparire nel prodotto finito. Insomma, più che sentirsi trasportati in una malga, più che apprezzare il piatto che stiamo arricchendo con il formaggio, avremo un prodotto talvolta piatto, poco aromatico, più manipolato e con una consistenza poco grassa. A questa punizione sensoriale autoinflitta si aggiunge anche la convinzione che “posso mangiarne di più perché tanto è light”, vanificando così il vantaggio del minor contenuto calorico. Basterebbe gustare un formaggio nelle giuste quantità, abbinarlo al meglio e tutto ciò ci porterebbe a gustare un grande dono gastronomico senza troppi sacrifici.

Ho notato sul mio pezzo di formaggio dei piccoli puntini di colore verde scuro, ho pensato che fossero pericolosi ed ho tagliato tutto il pezzo verde.

VERO/FALSO Questi puntini scuri sono talvolta collegati alla presenza di muffe che si sviluppano appena trovano le condizioni adatte per farlo: l’umidità del frigorifero, il grasso del formaggio o la cattiva conservazione che permettono loro di crescere bene e ciò può comportare qualche rischio per la nostra salute. Alcune muffe, oltre a essere un forte indizio di cattiva conservazione o di bassa qualità della materia prima, possono produrre delle tossine, in taluni casi molto pericolose per la salute. Le muffe crescono per pochi millesimi di millimetro nella massa del formaggio e ciò potrebbe sembrare un problema solo superficiale. Tuttavia, se si riesce a notarle, significa che sono almeno un milione di unità colonizzatrici, nel frigo possono diffondersi ad altri prodotti e, se ingerite, possono dare problemi a livello epatico, renale e gastrointestinale. Le muffe “cattive” perché produttrici di micotossine fanno parte, insieme alle zanzare, della categoria “è meglio che non esistano”. Tagliare un centimetro abbondante di formaggio può dispiacere, ricordando lo Shylock del Mercante di Venezia, ma vale sempre la pena per non avere rischi. I consigli sono di evitare pezzature di formaggio troppo grandi che richiedono molto tempo per essere consumate, di prendere prodotti di alta qualità e sicuri e di evitare di mangiare il formaggio con i primi segni di muffe. Un “occhio” particolare va ai formaggi “occhiati” che nascondono delle camere d’aria interne dove le muffe possono tranquillamente svilupparsi sotto i nostri occhi.

Il formaggio mi crea dei rischi perché sono intollerante al lattosio…

VERO/FALSO Le intolleranze riconosciute sono poche e quella al lattosio è, forse, tra le più comuni. Biologicamente il nostro corpo sa bene che nei mammiferi il latte è sinonimo d’infanzia dove la mamma prima e il latte vaccino poi ci permettono di crescere in modo armonico e sano. A svezzamento completato, la maggior parte di noi riduce progressivamente la produzione di enzimi che permettono la digestione del lattosio. La conseguenza è che il latte che contiene lattosio è mal sopportato, da qui colite, fastidi varie etc. È pur vero che spesso continuiamo a bere latte anche da adulti e per molti di noi ciò rappresenta una “eterna giovinezza” enzimatica per cui non smetteremo mai di produrre gli enzimi necessari. Nel caso dei formaggi freschi o poco stagionati o negli yogurt questo problema si ripropone, perché la naturale riduzione del lattosio richiede del tempo che noi non aspettiamo. Nei formaggi a lunga conservazione, bastano a dire il vero poco più di cinque mesi di tempo, o formaggi a pasta dura, il tempo gioca a nostro favore e del lattosio non vi è che una minima traccia permettendoci di gustarli anche da parte di chi è intollerante. Di nuovo le tecnologie alimentari ci soccorrono con la produzione di formaggi delattosati, permettendo a tutti di mangiare anche yogurt, mozzarelle etc. appena fatte.

Sono celiaco e preferisco evitarli…

VERO/FALSO Nelle persone celiache non dovrebbe esserci alcun problema perché di glutine non vi è traccia nei formaggi tradizionali. La creazione di nuovi formaggi con l’aggiunta di amido, gelificanti oppure addensanti, o i vari yogurt con cereali etc. può creare dei rischi più o meno rilevabili dall’etichetta; ecco la necessità per un celiaco di identificare in modo certo i prodotti senza glutine anche se di tipo caseari.

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I formaggi sono tutti uguali fra loro almeno quando guardo l’etichetta, eppure sento delle differenze anche forti fra i vari tipi…

VERO Un formaggio di qualsiasi origine è sempre formato da sale, latte e caglio eppure in Italia abbiamo tanti diversi formaggi da potere abbinare e mangiare in modo emozionale. Le semplici etichette alimentari non riportano di più perché gli ingredienti sono quelli elencati o poco più se si tratta di qualche prodotto speciale, ma il formaggio è come l’olio extravergine d’oliva. Il suo sapore dipende dalle vacche, da dove sono state allevate, da cosa hanno mangiato e da come il formaggio viene poi lavorato e conservato dopo la sua produzione. Pensate che lo stracchino, un delizioso formaggio a pasta molle, deve il suo nome al fatto che è prodotto con latte intero ottenuto da vacche “stracche” ovvero stanche perché tornavano dagli alpeggi o dai campi di lavoro e fornivano un latte più povero. Oggi non è più così ma il suo nome non è cambiato. Il formaggio non ha molto di diverso dall’olio extravergine dove le olive saranno pure tutte simili, ma con proprietà organolettiche diverse che influenzano il prodotto finale a seconda delle varietà usate e se coltivate in montagna o a bassa quota etc. Se ci fate caso, sono ambedue prodotti “grassi” perché i sapori e anche le emozioni sensoriali si vanno a nascondere nella parte più grassa che riesce a rendere disponibili aromi, sapori e profumi. Il formaggio è considerato con la birra, il pane e lo stesso vino ovvero uno degli alimenti pro-biotecnologici per i quali si utilizzavano, e si usano ancora oggi, dei microorganismi per le fermentazioni e le fasi di maturazione del prodotto. Oggi le scelte sono fatte con criterio e con una diversa conoscenza dei processi di produzione. Quale potrebbe essere la soluzione da offrire? Facciamo un’etichetta come per il vino dove si indica la specie di vacca, il luogo di produzione, di trasformazione e si raccomanda per ogni formaggio il migliore abbinamento per gustarlo al meglio e in quantità giusta e misurata.