Nanoparticelle di titanio nel fegato: lo studio olandese sveglierà finalmente l’Europa?

Tanto tuonò che alla fine piovve. La vecchia saggezza popolare si attaglia alla perfezione alle nanotecnologie, un settore industriale ancora in cerca di regole e soggetto a numerose paure, sempre più fondate.

The business must go on

Mentre le nanoparticelle conquistavano il mercato di cibi, cosmetici e prodotti di consumo per diventare negli ultimi 15 anni un business tra i più interessanti nel modo delle nuove tecnologie (pensate che nel 2015 il mercato ha superato i mille miliardi di dollari) le ricerche sui loro effetti andavano a rilento.

La logica, d’altronde, è sempre stata quella “prima il mercato, poi i controlli”, con buona pace di chi invocava il principio di precauzione. “The business must go on”, il mercato non si può fermare hanno ripetuto per anni gli industriali. E difatti non si è fermato, entrando in tutti i settori del consumo: dai calzini “antipuzza” ai solari che penetrano a fondo nella pelle, dalle caramelle “sbiancate” ai materiali di pittura “antigraffio”.

Gli studi che lanciano l’allarme

Inevitabile, come in molti profetizzavano, che arrivano gli allarmi, frutto dei risultati delle prime ricerche serie in tutto il mondo. A pochi giorni di distanza da quello lanciato dall’Università di New York che ha mostrato come alcune di quelle contenute negli imballaggi modificassero le cellule intestinali, è la volta di uno studio di ricercatori olandesi a riaccendere le polemiche.

Gli scienziati hanno rilevato particelle di biossido di titanio nei fegati e nelle milze umane, sollevando preoccupazioni sul fatto che i rischi per la salute dovuti all’esposizione orale “non possano essere esclusi”. Guidati da Minne Heringa, dell’Istituto nazionale per la salute pubblica e l’ambiente (RIVM), i ricercatori hanno analizzato fegati e milza donati al Centro medico universitario di Utrecht per scopi educativi e di ricerca.
Lo studio “aggiunge un altro tassello critico al puzzle di valutazione del rischio per le nanoparticelle di biossido di titanio, dimostrando che i rischi per la salute legati al danno epatico (cioè, edema epatico e alterazioni degli enzimi epatici) dovuti alle particelle non possono essere esclusi”, scrivono i ricercatori in Tossicologia di particelle e fibre.
I ricercatori suggeriscono che le particelle “molto probabilmente” sono entrate nel corpo attraverso l’esposizione orale, piuttosto che attraverso inalazione o assorbimento attraverso la pelle, probabilmente dal cibo o dal dentifricio.

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L’Europa ancora si interroga

La Commissione europea ha recentemente chiesto all’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) di fornire pareri su quattro articoli scientifici, che descrivevano un potenziale effetto negativo sulla salute del biossido di titanio come additivo alimentare. Uno di questi è proprio un documento RIVM del 2016 del dott. Heringa e colleghi, che ha valutato i rischi per la salute umana derivanti dall’esposizione orale.
Nel 2017, il comitato di valutazione dei rischi di Echa (Rac) ha concluso che il biossido di titanio dovrebbe essere classificato come cancerogeno di categoria 2 per inalazione.