Prosciutto cotto: tra fosfati e nitriti è bene evitarlo. E in Francia è allarme listeria

In questi giorni in Francia è in corso un maxi richiamo di decine e decine di lotti di prosciutto cotto (coinvolti anche i prodotti a marchio Carrefour e Lidl) perché contaminati da Listeria, un’infezione batterica che può provocare disturbi gastrointestinali fino a febbri acute nei casi peggiori. La listeriosi è una tossinfezione che riguarda gli alimenti e quindi non è criticità tipica di questo salume. Il prosciutto cotto presenta altri profili di rischio, sopratutto per i più piccoli ai quali spesso viene proposto come cibo “adatto” ai bambini. Ci sono almeno due ingredienti del cotto dai quali invece è bene stare alla larga o ridurne l’assunzione sopratutto in “tenera” età: i fosfati e i nitriti.

Alla larga dai polifosfati

I fosfati e polifosfati, usati per legare bene la massa  sono accusati di ostacolare l’assimilazione del calcio così importante nella crescita dei nostri piccoli. Per questo è sempre meglio scegliere un prosciutto cotto privo di queste sostanze. Il cotto “Alta qualità” è lavorato senza polifosfati, rispetto a quello “normale” e di quello “scelto” che invece ammettono questi additivi.

I polifosfati sono additivi che si presentano anche sotto forma di sigle come E450, E451, E452. Appartengono alla famiglia dei sali di fusione e sono usati per trattenere l’acqua, mescolarla bene con la parte grassa e per mantenere le caratteristiche fisico-chimiche dei prodotti nel tempo. Il problema è che trattengono il calcio, ma anche il magnesio e il ferro, ostacolandone l’assimilazione nel nostro organismo. Un aspetto ancora più preoccupante per i giovani consumatori tanto che i polifosfati sono vietati negli alimenti per l’infanzia, il baby food da 0-3 anni. È inoltre facile superare la dose giornaliera tollerabile per i polifosfati in quanto sono presenti in molti cibi: dal prosciutto cotto “semplice” ad alcuni gelati, chewing-gum, snack a base di cereali.

Chi non vuole rinunciare a questo alimento, ripetiamo, farebbe bene a concentrarsi sulla variante “Alta qualità” che per legge non può avere polifosfati.

Il pericolo nitriti

L’altro “nemico” nascosto nel prosciutto cotto (ma non solo, diremo nelle carne trasformate in generale, insaccati in primis) sono i nitriti, presenti in etichetta anche con la sigla E250, vengono aggiunti nella fase di produzione del prosciutto cotto insieme alla salamoia, come conservanti per scongiurare la formazione di botulino, ma soprattutto aggiungono sapore e colore, per rendere bella rosa quella carne, che naturalmente sarebbe di un meno invitante marroncino chiaro, senza questi additivi. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), ha classificato  i nitriti   come probabili cancerogeni per gli esseri umani (gruppo 2A), e vari studi suggeriscono che un consumo eccessivo e prolungato di nitriti è associato ad aumento del rischio dei tumori dello stomaco e dell’esofago.

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Come agiscono?

nitriti, come ha spiegato al Salvagente la dottoressa Renata Alleva,  in condizioni di pH acido, possono combinarsi con le ammine, composti organici presenti nella carne e salumi generando altri composti altamente cancerogeni, le nitrosamine. La formazione di queste sostanze è favorita sia dalla presenza di enzimi salivari, nella bocca e poi dalla acidità dello stomaco.

Quanti nitriti sono ammessi negli alimenti?

Secondo la normativa vigente, il contenuto di nitriti nel prosciutto cotto e altri alimenti, può essere al massimo di 150 mg/kg, mentre nel prosciutto cotto Bio il limite per legge è di 50 mg/kg. L’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) raccomanda di non superare il limite di 0,1  mg/kg di peso corporeo al giorno di nitriti , mentre per EFSA, consiglia di non superare la quantità di 0,06 mg/kg di peso. “In etichetta – conclude la dottoressa Alleva – non è mai specificato quanti nitriti siano stati aggiunti mediamente dal produttore, quindi un prosciutto cotto può contenere 15 mg per 100 g di prodotto, un bambino che pesa 12 kg (circa a 2 anni) con una sola fetta di 10 g già raggiunge 1,2 mg che il limite raccomandato dall’Oms e supera di molto quello dell’Efsa”.