Falso San Marzano italiano: condannati Amato e Russo

Non era pomodoro San Marzano Dop quello che l’azienda Antonio Amato aveva commissionato per la vendita sul mercato statunitense. A dirlo, dopo due gradi di giudizio, anche la Cassazione che ha rigettato il ricorso dell’imprenditore e industriale Antonio Amato, rendendo definitiva la condanna a 6 mesi di reclusione. Secondo l’accusa, in concorso con Walter Russo, altro imprenditore a capo della Exom Srl, i due avrebbero prodotto e commercializzato prodotti alimentari, lavorati e confezionati per un totale di 300.000 barattoli di pelati, da considerarsi, per origine, provenienza e qualità diversa da quella dichiarata in etichetta o comunque tali da trarre in inganno gli acquirenti-consumatori sulla origine, qualità e provenienza.

Il sequestro nel 2010

Un truffa che ha inizio nel 2010 quando al porto di Salerno i carabinieri del Nac sequestrano oltre trecentomila barattoli di pomodori pelati, del valore di circa 300mila euro, con l’etichetta “prodotto della regione Dop San Marzano Pomodori Pelati Italiani” destinati al mercato statunitense. Dopo il sequestro dell’ingente quantitativo di “San Marzano” falsi, i controlli si estendono su tutte le sedi dell’azienda di Antonio Amato dove vengono trovate e sequestrate oltre 33mila etichette uguali a quelle applicate ai barattoli sequestrati, fatture di vendita dello stesso prodotto sequestrato destinato ad acquirenti stranieri per un valore totale superiore ai 400mila euro e relative ad oltre 4.200 quintali di pomodoro pelato “San Marzano”. I pomodori pelati contenuti all’interno dei barattoli sequestrati, però, provenivano dalla zona del Foggiano e non dall’Agro nocerino sarnese come riportato dalle etichette.

Le condanne

A costituirsi nel procedimento c’erano il Consorzio a tutela del pomodoro San Marzano Dop, rappresentato dal legale Luca Forni, l’Associazione Napoli Adoc e Asso Consum Onlus. La condanna del Tribunale – prima nel suo genere – è arrivata nel 2012: i due imprenditori furono condannati per i reati di di frode in commercio e vendita, con segni mendaci, di prodotti industriali protetti da norme di denominazione di origine. Condanna confermata in secondo grado nel 2015 e in Cassazione in questi giorni.