Chi ha bisogno del vino senza istamina?

Da qualche anno, esiste una curiosa novità nel settore vitivinicolo italiano, più precisamente nelle Langhe, dall’azienda vinicola Veglio Michelino & Figlio di Diano D’Alba spunta una nuova certificazione, la “Low Histamines” (bassa istamina). Qualcuno tra i nostri lettori ne avrà visto uno dei tanti spot che ruotano in televisione oramai da giorni.

Vediamo meglio di cosa di cosa si tratta. In realtà a livello europeo già nel 2010 un gruppo di ricerca dell’Università Politecnica di Madrid (UPM) e dell’Università di Valencia ha iniziato una serie di studi che li ha portati sei anni dopo a produrre vini a basso contenuto di istamina, presso le cantine Pago de Carraovejas a Ribera del Duero in Spagna.

Non solo pesce

Facciamo chiarezza però: che cos’è l’istamina e perché la sua presenza costituisce un aspetto negativo negli alimenti e in particolar modo nel vino?

L’istamina è una cosiddetta “ammina biogena” che deriva da una trasformazione chimica (per chi è del settore, una decarbossilazione) dell’istidina, uno dei 20 amminoacidi che costituiscono le proteine. All’istamina è attribuita un’azione negativa sulla fisiologia dell’organismo, in particolar modo sul sistema nervoso, quando si accumula, e nella mediazione delle allergie, tant’è che in queste condizioni patologiche si usa assumere i cosiddetti “antistaminici”.

Per questo motivo, questi produttori, coadiuvati dal gruppo di studio, hanno eseguito una selezione di diversi ceppi di un batterio lattico, l’Oenococcus oeni, responsabile della cosiddetta fermentazione malolattica (quella che garantisce la maturazione del vino), che non producono l’istamina.

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La domanda a questo punto è una: ma quanta istamina può contenere il vino? E soprattutto, l’utilizzo di questo escamotage biotecnologico che porta alla riduzione di istamina risolve una problema reale?

Nel vino l’istamina è un pericolo reale?

L’istamina è presente nei vini rossi in una concentrazione che va dai 2 ai 10 mg/litro; più alto è l’affinamento e il tenore di tannini nell’ uva, maggiore è il suo contenuto. I vini “Low Histamines” garantiscono una concentrazione inferiore agli 0,5 mg/litro.

Nel pesce, un alimento di cui si parla tanto relativamente all’istamina e al conseguente rischio di incappare nella “sindrome sgombroide”, la concentrazione di istamina media del lotto considerata sicura è inferiore ai 100 mg/kg (con un massimo ammissibile di 200 mg/kg); ne deriva che una classica porzione di 200g di pesce, equivale in termini di assunzione di istamina a più di  “3 litri” di vino di medio affinamento.

Gli effetti collaterali di quasi “mezzo litro di alcol” sono nettamente peggiori rispetto a quelli dell’istamina, ed è bene precisare che tutte queste considerazioni sono relative a soggetti sensibili all’ammina biogena.

È proprio un gruppo di ricercatori italiani dell’Università di Teramo che, proseguendo i lavori dei team spagnoli, conclude affermando che per i soggetti in specifiche condizioni fisiopatologiche (intolleranza/sensibilità all’istamina e assunzione di classici psicofarmaci tipo IMAO o RIMA) il rischio di reazioni tossiche legate all’istamina, dipende dalla composizione di tutto il pasto, non solo dal consumo di vino.

Mal di testa da istamina o da solfiti?

Sicuramente avere meno istamina nel vino è una cosa positiva, ma messaggi promozionali che giustificano la cefalea, nei soggetti intolleranti all’ammina biogena (per deficit della diaminoossidasi) come derivante esclusivamente dall’istamina, non sono completi se non si prende in considerazione il contributo dell’alcol su individui predisposti; né tantomeno bisogna trascurare l’azione dei solfiti sul mal di testa.

L’alcol etilico è una sostanza nervina e, in quanto tale, agisce sul sistema nervoso e quindi sul cervello, pertanto, a prescindere, il suo consumo va moderato o addirittura bandito nelle forme più intense o croniche, come ad esempio l’emicrania a grappolo.

I solfiti, naturalmente presenti nell’uva, nel processo di vinificazione vengono quasi sempre addizionati per sfruttare la loro azione antimicrobica e antiossidante al fine di preservare le proprietà organolettiche del vino di qualità; talvolta invece sono un fraudolento stratagemma per portare nei tini uve di discutibile qualità.

Tanto marketing…

È vero che nel vino rosso (quello su cui si studia principalmente l’effetto dell’istamina) i solfiti sono presenti in concentrazioni minori rispetto al vino bianco, così come è assolutamente lecito dare credito alle produzioni scientifiche, come ad esempio quelle del Dr. Freitag del Diamond Headache Clinic di Chicago sulla relazione tra istamine e cefalea, ma non bisogna tralasciare il peso sulla popolazione delle statistiche epidemiologiche e tenere conto che i solfiti sono annoverati tra i 14 allergeni del Reg. CE 1169/2011 da evidenziare sulle etichette dei prodotti alimentari.

E’ lodevole fare prodotti innovativi e che contengono quantità minori di composti indiscutibilmente negativi, come l’istamina, o quantomeno inutili, ma bisogna informare bene il consumatore sulla misura reale del vantaggio ad acquistarli e non celare, con slogan e certificazioni, gli altri elementi che possono determinare rischi di entità maggiore.