“Commercio equo: modello vincente perché contamina l’economia”

Leonardo Becchetti, economista, insegna all’Università di Tor Vergata a Roma e da sempre si occupa di economia civile e quindi di finanza etica, microcredito, responsabilità sociale di impresa e commercio equo e solidale.

Contaminazione dell’etica

Non ha dubbi sul ruolo che lui stesso definisce “pionieristico” del fairtrade: “Ha aperto una strada e ha trasmesso anche ad altre aziende, che non nascevano etiche, il concetto che per risolvere i problemi del sistema economico, è necessario invertire la rotta e fare leva sui consumi piuttosto che sull’abbassamento dei costi del lavoro”. Insomma, è senz’altro anche grazie al commercio equo e alla sua filosofia che si è diffuso tra le aziende il tema della Responsabilità sociale di impresa che oggi un po’ tutti i soggetti coinvolti nel mercato, non solo alimentare, stanno assumendo, anche per una questione legata al profitto: “È ormai assodato che a una minore responsabilità ambientale, ad esempio, corrisponde un maggiore rischio d’impresa – spiega Becchetti – Facciamo un esempio: prendiamo l’Ilva e la West Alpine, la prima è fallita, la seconda ha capito bene che il fattore dell’inquinamento ambientale era troppo rischioso”.
Becchetti, negli anni, ha condotto ben sette lavori di ricerca “di analisi di impatto” in vari paesi del mondo e ciò che è emerso è molto chiaro: “È risultato evidente che l’ingresso, da parte dei contadini, dei consorzi e delle cooperative nel sistema del commercio equo, produce un aumento del reddito delle famiglie e un margine di rischio molto inferiore, perché il singolo produttore che vende anche solo una parte dei suoi prodotti al fairtrade ha una maggiore facilità di ingresso nei mercati esteri e acquisisce una superiore stabilità”.

Centralità dei controlli

Poi, certamente, può accadere che qualcuno sia scorretto o semplicemente cambi rotta, ma, fatti i controlli, resta al commercio equo, secondo Becchetti il grande merito dell’essere stato pioniere rispetto a una nuova visione del sistema economico. “È necessario, tuttavia, ricordare che questa visione pionieristica ha avuto più effetti – anche in grandi aziende e multinazionali – sul tema della necessità della sostenibilità ambientale che su quella sociale, ovvero dei diritti e delle condizioni dei lavoratori”, chiarisce Becchetti.
L’esempio di Nestlè che spesso viene citato come quello di una multinazionale che concede una piccola parte del suo business anche alla produzione etica, è emblematico: alcuni anni fa fecero produrre le barrette Kit Kat con cioccolato a marchio Fairtrade. “Però solo Fairtrade Inghilterra accettò di fare questa operazione”. Forse perché il Regno Unito è un paese in cui la diffusione del Fairtrade è più massiccia.

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“Consumatore disponibile a pagare un po’ di più”

Non è certo l’unico caso: anche Chiquita in passato ha distribuito delle banane, in quel caso a marchio Rainforest alliance. “Il concetto di imitazione e di contagio esiste e può spingere a far seguire certe pratiche”, scandisce Becchetti. Questo effetto contagio, però, spesso si limita all’ambito del rispetto dell’ambiente, perché il tema del rispetto delle condizioni di lavoro resta ancora un interesse quasi esclusivo del commercio equo. Sebbene, aggiunge Becchetti, “nel mondo della finanza, invece, ormai i fondi etici rendano come quelli normali”.
Ciò su cui il commercio equo fa leva, quindi, in sostanza, è il concetto dei consumi. “È il principio dell’economia civile, che si basa sull’idea che anche i cittadini e le organizzazioni sociali con le loro scelte possono intervenire sul mercato: noi cittadini possiamo decidere di premiare un mercato e dei prodotti piuttosto che altri. Nell’ambito del bio è già assodato: l’idea che se compro biologico ne ha anche vantaggi la mia salute, oltre che l’ambiente, è già molto diffusa”, rileva Becchetti. E quindi il consumatore è già disponibile a pagare un certo prodotto un po’ di più; nel fairtrade la spinta è ancora minore ma in ogni caso, secondo l’economista “non è vero che le scelte delle persone seguono solo il criterio del costo più basso. All’interno di ogni scelta sta tutto un insieme di elementi simbolici e le persone sono dei soggetti che ricercano senso”.
Becchetti si sofferma anche sul tema importante del lavoro minorile, che è stato anche uno degli elementi attraverso cui la trasmissione Report recentemente ha attaccato il commercio equo: “Fairtrade, in quanto marchio di certificazione, ha una posizione poco ideologica e molto pragmatica in questo senso: loro sono convinti che la strada migliore per abbattere il lavoro minorile non sia quella dell’abolizione normativa, ma dell’aumento del reddito delle famiglie; altrimenti, ciò che può accadere, è che si sposti il lavoro minorile sul mercato nero”.