Se il principe azzurro si trasforma in un mostro

Il primo amore le giovanissime lo aspettano e lo sognano, pensano al principe azzurro, a un film romantico. Poi si scontrano con la realtà. Una realtà che spesso non riescono nemmeno a comprendere. Non hanno l’esperienza e la competenza per affrontarla, si vergognano a parlarne in famiglia e sopportano. Credono sia quello l’amore, la gelosia esasperata, il senso di possesso, l’appartenere a un maschio e ubbidirgli.  “Quando si pensa alla violenza di genere”, spiega la psicologa Lucia Beltramini, esperta in violenza su donne e minori, “si è soliti immaginare coppie adulte, sposate o che convivono; in realtà esperienze simili si possono verificare anche tra giovani e giovanissimi che stanno scoprendo le relazioni di coppia spesso per la prima volta. Pensare alle prime esperienze d’amore in adolescenza evoca immagini di felicità e spensieratezza. Può però accadere che, proprio in questa fase della vita, i giovani si trovino a vivere esperienze molto diverse da quelle immaginate, spesso senza rendersi conto di quanto stia succedendo loro e senza sapere come e a chi rivolgersi per chiedere aiuto”. Anche perché non riescono a riconoscere certi atti come violenza.

Non chiamatelo amore

Per loro i comportamenti di dominazione e controllo sono intesi come segni di interessamento e amore (“Non vuole che parli con altri perché sono sua, ci tiene a me”), la violenza fisica può essere minimizzata (“Mi ha colpita solo perché era nervoso”), le pressioni sessuali possono non essere riconosciute come tali (“Se non gli dico di sì, mi lascia”). Anche per la presenza di questi meccanismi di negazione, ragazzi e ragazze sono maggiormente a rischio di fare proprio un modello di relazione di coppia improntato all’esercizio del dominio sull’altro, che potrebbe riprodursi anche nelle future relazioni adulte.

Secondo Lucia Beltramini il nocciolo della questione è la capacità di prevenire. E per farlo non si può prescindere “da un’attenta analisi di quello che è il contesto sociale e culturale nel quale ragazzi e adulti si trovano a vivere, ancora fortemente permeato da modelli stereotipati di maschile e femminile e rapporti tra i sessi poco improntati alla parità. Avere la possibilità di mettere in discussione gli stereotipi sui ruoli di genere può permettere agli adolescenti di favorire lo sviluppo del senso critico e attivare processi metacognitivi importanti”.

Ma per prevenire è necessario che la famiglia o gli insegnanti a scuola sappiano riconoscere i segnali che i ragazzi e le ragazze mandano: bassa autostima, perdita di interesse per ciò che accade in famiglia, a scuola o negli altri contesti di vita, problemi di memoria e concentrazione, difficoltà scolastiche.

Gli adolescenti non chiedono aiuto perché per farlo devono riuscire a superare la paura e la vergogna. Ma nelle loro menti si annidano altri elementi che li portano a tacere: senso di colpa, timore di non essere creduti, confusione per i sentimenti provati, autocolpevolizzazione. Risulta quindi fondamentale prestare loro attenzione, offrire uno spazio di ascolto non giudicante, rispettare i loro tempi e fornire le informazioni corrette sui servizi a disposizione.

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Una su dieci

Negli Stati Uniti, già nel 1999, secondo una ricerca di Wekerle & Wolfe il fenomeno della violenza scambiata per amore colpiva tra il 10 e il 25% degli adolescenti. In Italia le cose non sono diverse. Uno dei pochi studi condotti nel nostro paese, su un campione di oltre 700 studenti delle scuole secondarie di secondo grado, ha evidenziato come più di una ragazza su dieci abbia vissuto esperienze di violenza nella coppia prima dei 18 anni. Il 16% delle intervistate (e l’8% dei maschi) ha subito gravi e ripetute violenze psicologiche o persistenti comportamenti di dominazione e controllo; il 14% delle ragazze (e l’8% dei ragazzi) ha ammesso violenze o molestie sessuali; più di un adolescente su 10 (senza differenze di sesso) violenze fisiche in coppia.

Oggi le violenze sono veicolate anche dalla rete. Si tratta del cyber-bullismo, cui le nuove generazioni sono sempre più esposte. Secondo la ricerca europea Eu Kids on line, realizzata nel 2010 su un campione di oltre 25.000 ragazzi e ragazze tra i 9 e i16 anni di età e altrettanti genitori, emerge che il 93% dei giovani va online e che il 41% si è imbattuto in contenuti “disturbanti” mentre l’8% ha incontrato dal vivo una persona conosciuta sul web. In Italia il 50% dei genitori ignora che i figli hanno visto immagini a sfondo sessuale on line e l’80% non è a conoscenza che i figli hanno ricevuto minacce on line.