“Noi gli autistici li vogliamo!”, a Rimini la spiaggia accogliente

C’è chi li chiama volti angelici, chi li definisce dei bizzarri a volte geniali; i loro percorsi mentali sono molto diversi dalle persone normodotate, spesso risultano problematici. A volte non riescono ad allacciarsi le scarpe ma possono essere capaci di moltiplicare numeri a quattro cifre in un batter d’occhio. Sono i ragazzi autistici, molti di loro ormai adulti, 600mila in tutto in Italia. E il numero è destinato a crescere, visto che le diagnosi si vanno perfezionando. Da qualche tempo a Rimini, qualcuno ha pensato anche alle loro vacanze, insieme alle proprie famiglie: a quel periodo di tempo in cui, per rilassarsi, si esce dalle routine, dalle reti protettive, ma che di frequente si rivela un momento a cui, invece, rinunciare, per non sentirsi “come degli Ufo catapultati sulla terra”.  Così, grazie all’associazione Rimini Autismo è nato nel 2013 il progetto Autism Friendly Beach, che poi nel 2016 è stato uno degli otto finanziati (con il punteggio più alto) all’interno del bando europeo Cosme per il turismo accessibile. (continua dopo la foto)

“Sappiamo da tempo che le vacanze possono diventare un problema enorme per le famiglie con ragazzi autistici, così grande che molto spesso queste stesse famiglie preferivano rinunciarvi – racconta Alessandra Urbinati, presidente di Rimini Autismo – e così ci siamo detti: ‘Siamo a Rimini, siamo un territorio dedito al turismo accogliente da sempre, dobbiamo fare qualcosa per accogliere anche queste famiglie’”. In questo modo, pian piano, è nato Autism Friendly Beach, un progetto che, grazie al bando europeo, verrà testato inizialmente in Spagna, Croazia e Cornovaglia e che prevede, innanzi tutto, il coinvolgimento degli operatori turistici: “Abbiamo contattato  bagnini, albergatori, ristoratori, il personale dei parchi tematici, dei ristobar sulla spiaggia e abbiamo proposto loro degli incontri formativi tenuti sia dalle famiglie che da esperti perché l’obiettivo è quello di fare sapere cos’è l’autismo e che tipo di problematiche può in alcuni casi suscitare”, prosegue Urbinati. “Infatti, spesso, questi ragazzi hanno un aspetto ‘normale’. Ciò fa sì che certe loro reazioni rispetto a eventi apparentemente banali non siano comprese”. Le strutture coinvolte sono state dotate di una cartellonistica esplicativa, finalizzata anche a mettere a conoscenza tutti gli ospiti del tipo di struttura in cui si trovano, in termini di accoglienza. Il valore aggiunto del ‘modello Rimini’ che vorrà essere esportato, infatti, è proprio quello di  non creare un servizio ‘speciale’, ma per tutte le famiglie, più attento ai bisogni e nell’ottica dell’integrazione.  (continua dopo la foto)

“Ho iniziato questa esperienza fin dal suo avvio e ammetto di averlo fatto perché conoscevo qualcuno all’interno dell’associazione – fa sapere Antonio Carasso dell’Hotel Panoramic di Rimini -; insomma, l’ho fatto innanzi tutto per fare un piacere ad un amico. Poi, però, questo percorso si è rivelato entusiasmante e arricchente perché, nella realtà dei fatti, è più quello che si riceve da queste famiglie e da questi ragazzi piuttosto che quello che si dà”, ammette l’albergatore. E spiega: “Si crea un rapporto molto bello con queste persone, soprattutto con quelle che tornano in vacanza da noi più volte. Le attenzioni che noi riserviamo sono davvero piccola cosa rispetto alle tante richieste che ci arrivano da ospiti ‘normali’, ma magari molto noiosi…”, puntualizza Carasso. “Spesso si tratta di fare evitare ai ragazzi la fila al buffet, di preparare per loro tavoli non al centro della sala ma un po’ di lato perché si sentano più protetti: attenzioni che non ci costano alcuna fatica ma che ci ripagano, perché la riconoscenza verso di noi da parte di queste famiglie è enorme. Ho salutato proprio pochi giorni fa Angelica, bimba dolcissima che è tornata da noi per la seconda a volta..”.

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Urbinati concorda: “Spesso gli operatori ci dicono che l’incontro con questi ragazzi ha cambiato in meglio il loro modo di approcciarsi a tutti i tipi di ospiti, perché si tratta di una modalità che modifica in qualche modo la propria sensibilità”. L’autismo, infatti, come sottolinea la presidente dell’associazione riminese non è una malattia, ma una “condizione mentale” con un grande spettro di possibilità e varietà: “Durante i convegni a cui partecipiamo, le persone autistiche cosiddette ‘ad alto funzionamento’ ci spiegano bene come si sentono, qual è la loro condizione: il loro modo di ragionare è diverso da quello degli altri e loro si sentono un po’ come dei marziani capitati all’improvviso su un pianeta di cui devono decodificare le regole”. Accade alle persone affette da sindrome di Asperger, ad esempio, la cui intelligenza non è compromessa, che riescono a spiegare come si sentono. Elaborazione più difficile per altri ragazzi, ai quali è necessario avvicinarsi in punta di piedi cercando di capire cosa li spaventa e cosa li rassicura. Il progetto, infatti, coinvolge queste persone non solo come turisti, ma anche come soggetti impiegati nelle attività balneari. Come è successo a Federico che da tre estati fa l’aiuto-bagnino a Rimini, un’attività concentrata nelle due ore precedenti alla chiusura dello stabilimento e che consiste nel chiudere gli ombrelloni, spazzare le passerelle, mettere a posto i lettini e pulire la spiaggia: “Per lui è stata ed è un’esperienza importante perché è servita ad aumentare le sue autonomie, grazie al confronto con esperienze che altrimenti non avrebbe potuto fare”,  racconta Cristina, la mamma di questo ragazzo che oggi ha 22 anni, la cui diagnosi di una difficoltà legata allo spettro dell’autismo è arrivata purtroppo molto tardi, intorno ai 18 anni.  (continua dopo la foto)

“Federico, nello specifico, soffre di disprassia e di mancanza di senso dell’orientamento; il primo anno come aiuto-bagnino per lui è stato importante soprattutto per imparare ad arrivare da casa allo stabilimento in autonomia. Per la prima stagione io l’ho seguito, pian piano è riuscito ad orientarsi da solo, nonostante le difficoltà e le preoccupazioni, sue e nostre”. Per Federico, ogni cosa nuova, all’inizio è una specie di “avventura potenzialmente molto pericolosa”. Poi, una volta acquisita quella autonomia, si è concentrato di più sul lavoro: “Grazie all’aiuto degli educatori ha imparato ad orientarsi nello spazio e a rastrellare bene la sabbia, nonostante di natura non sia preciso a causa di questo suo disturbo. Adesso queste cose le sa fare – sottolinea Cristina – è contento e poi ama il rapporto con i turisti, usare le lingue che conosce per parlare con loro”. Cristina insiste nel ribadire quanto sia importante un tutoraggio specializzato perché è necessario conoscere “l’ipersensibilità di questi ragazzi a certi stimoli che per il resto delle persone possono essere del tutto insignificanti, ma per loro fonte di grande fastidio e talvolta di dolore”. Per la maggior parte di questi ragazzi, inoltre, “l’apprendimento delle regole sociali non avviene naturalmente come in un bambino in crescita, ma si tratta di un percorso che deve essere guidato e assistito”. In questo modo, sostiene la mamma di Federico, “ci si può concentrare sulle autonomie che possono essere raggiunte nei diversi stadi della vita”. E andare avanti, come tutti gli altri.