“Cutting”: come nasce l’autolesionismo tra i giovani, e come aiutarli

Secondo un’indagine della Società italiani di pediatria il 15% degli adolescenti tra i 14 e i 18 anni in Italia si è procurato autolesionismo per provare sollievo. Un dato che preoccupa, soprattutto nei giorni in cui i media parlano tanto di Blue Whale, il “gioco” che gira su internet e che avrebbe portato al suicidio di decine – forse centinaia – di giovanissimi in tutto il mondo. Ma quali sono le ragioni psicologiche che portano un adolescente al “cutting”, il gesto di tagliarsi volontariamente? Su Left, lo spiega Marzia Fabi, psicoterapeuta e autrice di “Autolesionismo” (L’asino d’oro ed.).

 Negli ultimi anni la psichiatria ha assistito allo sviluppo di un 
inquietante fenomeno clinico, per lo più giovanile: il Cutting, termine 
inglese che deriva dal verbo to Cut (tagliare, ferire). Ragazzi 
giovanissimi, a volte ancora bambini, si feriscono la pelle delle braccia o di altre parti del corpo come se questo gesto li aiutasse a sopportare una disperazione insostenibile. Utilizzano per lo più lamette, nel 57 
per cento dei casi, ma anche forbicine, lame del temperino, coltelli e 
altri oggetti taglienti. Non è una moda, come spessissimo si sente dire, né un modo per attirare l’attenzione. Infatti, nella maggior parte dei 
casi, i Cutters, sono ben attenti a nascondere i tagli con maglie a 
maniche lunghe anche quando il caldo dell’estate porterebbe a scoprirsi. Non siamo di fronte a capricci adolescenziali ma ad una vera e propria 
patologia mentale.

Marzia Fabi spiega: “Nel Cutting invece ci troviamo di fronte a qualcosa che lascia atterriti anche noi psicoterapeuti e che non ha nulla a che vedere con un modo per togliersi la vita. Come ci raccontano i ragazzi stessi, è un modo per restare ancorati alla realtà, per non sprofondare in una patologia mentale più grave che potrebbe portarli al suicidio”. Si tratta di una forma di autolesionismo che esordisce nella tarda infanzia o in adolescenza e solo una bassa percentuale, il 15 per cento di loro, chiede aiuto rivolgendosi ad uno psicoterapeuta in cerca di cura.

Sono ragazzi che esprimono un malessere profondo, un’angoscia, altre 
volte una rabbia e un odio per chi non si accorge di loro, per chi li 
guarda ma non li vede, per chi li ascolta ma non li sente. Potremmo pensare che tagliarsi sia una sorta di ribellione alla insensibilità che 
vivono nei rapporti interumani. Ribellione che, però, non riescono a fare attraverso il rifiuto di situazioni deludenti ma che diventa un sintomo di malattia mentale grave. Tagliandosi cercano di sopravvivere a quel 
dolore profondo che avvertono e di restare ancorati a quello che hanno. 
Sfidano la vita tentando di fare tutto da soli perché hanno la certezza 
che nessuno li può capire e nessuno li può aiutare e allora si aiutano 
mettendo in atto una sorta di “auto-terapia” malata. Dall’esperienza 
clinica sono emerse tre tipologie di Cutters: alcuni di loro sono ragazzi profondamente rabbiosi che cercano di sbarazzarsi della rabbia 
sfogandola sulla loro pelle. Si fanno del male quasi come a sfidare chi 
li ferisce ogni giorno, perché non li ama. Urlano al mondo intero la loro rabbia attraverso il loro corpo sfregiato. Propongono quelle che, 
simbolicamente, posso essere le ferite inferte alla loro realtà interiore da rapporti interumani deludenti, violenti e patologici in cui il 
ragazzo si è ammalato.

Altri – secondo Marzia Fabi – sono ragazzi che hanno perso anche la rabbia e sono diventati insensibili a tutto, non sentono più emozioni e non hanno più interesse per se stessi e per il rapporto con gli altri. “E allora si tagliano perché così, ti raccontano, sentono un dolore e vedono il sangue che pian piano esce e questo li fa sentire ancora vivi. Provano di nuovo qualcosa” spiega la psicoterapeuta, che aggiunge: “Altri ancora sono ragazzi che si feriscono graffiandosi, grattandosi, scorticandosi le ferite, procurandosi bruciature. Sono fenomeni meno violenti che esprimono una depressione sottostante e un forte senso di colpa che li porta a punirsi. Spesso queste forme minori le ritroviamo in ragazzi vittime di bullismo”.

Le cause di questo fenomeno le ritroviamo per circa il 60 per cento in 
esperienze di molestie e abusi sessuali, in cui vengono violati i confini personali e intimi del bambino e viene distrutta la sua identità
 psichica. Il 40 per cento invece si sviluppa in famiglie cosiddette 
“normali”, ben integrate nel tessuto sociale dove, spesso, non compaiono palesi ed evidenti situazioni patologiche dei genitori ma rapporti 
interumani deludenti perché basati sulla anaffettività. Il bambino viene accudito su un piano materiale, si pensa soprattutto alla soddisfazione 
dei suoi bisogni ma non si considerano le sue esigenze, le sue necessità di essere amato, compreso, “visto”. Il cutting ci parla quindi di una 
lesione della realtà interiore, realtà che compare alla nascita e che ha bisogno di rapporti interumani validi per potersi sviluppare e diventare un’identità psichica solida. Si può  pensare alla ripetizione della 
dinamica psichica non cosciente che il ragazzo ha vissuto nei suoi primi anni di vita. Ferito interiormente dalla violenza di rapporti freddi, 
oggi è lui che, rendendosi attivo, infligge a se stesso le ferite, 
diventa violento perché incapace di rifiutare e ribellarsi, in maniera 
sana, alla anaffettività altrui. Si ammala perdendo la propria capacità 
di amare, se stesso e gli altri.

Per intraprendere un percorso terapeutico, Marzia Fabi ritiene indispensabile partire dalla teoria della nascita dello psichiatra Massimo Fagioli, secondo cui il neonato nasce senza angoscia, senza rabbia senza paura e con la certezza che esiste un altro essere umano che lo amerà. “Se questa esigenza viene tradita e delusa, il bambino andrà incontro allo sviluppo di una patologia che, spessissimo, si manifesterà in adolescenza e che dovrà essere affrontata attraverso un lavoro di  psicoterapia. L’obiettivo è quello di ricreare una realtà interna affettiva e sensibile e una certezza di sé.” conclude l’esperta, sostenendo anche l’importanza di creare sportelli di ascolto e fare interventi nelle classi.

 

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