Quello che non sappiamo (ancora) sulle uova

Simbolo pasquale per eccellenza, le uova sono soggette a una particolareggiata normativa che impone la tracciabilità del prodotto (paese d’origine, provincia, comune e stabilimento) e l’indicazione del metodo di allevvamento, attraverso il primo numero impresso sul codice alfanumerico riportato sui gusci: 0 biologico, 1 all’aperto, 2 a terra, 3 in gabbia. Tuttavia, come denuncia la “sezione” francese della ong europea Foodwatch, la normativa comunitaria non impone analoghe informazioni sull’uovo o l’ovoprodotto usato come ingrediente nei cibi trasformati. Non solo. Non c’è nessun obbligo di indicare sulle confezioni se gli animali sono stati nutriti con mangimi Ogm.

Le informazioni che mancano

Secondo il rapporto francese di Foodwatch le scelte del consumatore negli ultimi anni sono state molto orientate dal tipo di allevamento: se nel 2009 le uova da galline in gabbia rappresentavano il 90% delle vendite, nel 2015 questa fetta di mercato era scesa al 68%. Parallelamente sono “cresciute” le uova “all’aperto” e le “biologiche”.

Questi dati per dire che la consapevolezza del consumatore cresce e, anche in un settore ben regolamentato e “trasparente” come le uova, c’è bisogno di maggiori informazioni. A cominiciare dall’origine delle uova usate come ingrediente all’interno di cibi trasformati: sono stati “covati” da galline allevate in che modo? Non lo possiamo sapere perchè non c’è obbligo di etichettatura.

E ancora. Visto l’uso massiccio di Ogm nei mangimi, si chiede Foodwatch, quanti ne finiscono negli allevamenti avicoli? E se sì perchè non indicare in etichetta che l’animale ha seguito una dieta Ogm? A onor del vero, a parte le uova biologiche i cui disciplinari vietano l’uso di mangimi geneticamente modificati, su alcune confezioni ogni tanto campeggia “No Ogm” ma – ricordiamo – è un’informazione volontaria che nel caso decide il produttore se o meno fornire. Perchè non renderla obbligatoria, si chiede Foodwatch?

Come riconoscere il metodo di allevamento

Accanto a quello che “manca” vogliamo però fornire anche le informazioni che possiamo reperire sulle confezioni (e sul guscio) delle uova. Il primo numero del codice alfanumerico impresso sui gusci identifica il tipo di allevamento. Ecco cosa significa e come scegliere:

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Il numero 1 indica “Uova da allevamento all’aperto” e significa che le galline, come prevede il regolamento ce 1234/2007, durante il giorno devono avere un accesso con- tinuo a spazi all’aperto; tuttavia l’allevatore può restringere l’accesso all’esterno per un periodo limitato nel corso della mattinata. La “densità di popolazione” all’esterno, ovvero il numero di animali rispetto al terreno disponibile, non può superare le quattro galline per metro quadrato.

Il numero 2 corrisponde a “Uova da allevamento a terra” ovvero covate da galline che razzolano libere al suolo ma questo non vuol dire che vivano all’aperto. L’allevamento a terra avviene nei capannoni e la densità massima consentita va da 9 a 12 galline per metro quadrato.

Il numero 3 indica “Uova da allevamento in gabbia” ed è sicuramente il sistema meno compatibile con il benessere animale: la gabbia è alta 40 centimetri, all’interno possono vivere fino a 18 ovaiole per metro quadrato e il capannone è sempre illuminato per favorire la fecondazione. È naturale che lo stress al quale sono sottoposte le ovaiole si rifletta negativamente sulle uova. Ricordiamo che dal primo gennaio 2013 non possono più essere installati nuovi allevamenti di ovaiole in batteria, tuttavia quelli esistenti possono continuare a produrre uova “in gabbia”.

Il numero 0 corrisponde a “Uova biologiche”: le galline sono libere di razzolare all’interno o all’esterno del pollaio e devono sempre avere a disposizione piccoli stagni nei quali poter sguazzare. La caratteristica principale di questo sistema è l’alimentazione: il mangime deve essere di origine biologica (assenza di pesticidi, di Ogm e di farine di pesce) e costituito principalmente da cereali e mais.