La sanità pubblica italiana? La stiamo perdendo…

È allarme dissesto per la sanità pubblica del Paese. Questo il grido disperato della  Fondazione Gimbe, l’istituto che ha lo scopo di fare formazione in ambito sanitario, certa del fatto che, se la politica non interverrà in fretta, gli italiani rischieranno di perdere “la loro più grande conquista sociale”

Un tema su cui questa sera interviene con una bella e accurata inchiesta Presa diretta, di Riccardo Iacona. Con un titolo eloquente: Lasciati soli.

Tagli e sprechi: accoppiata ad alto rischio

I numeri dell’associazione lasciano poco spazio all’incredulità: dal 2010, infatti, il finanziamento pubblico del Servizio sanitario nazionale, tra tagli e mancati aumenti, è calato di 35 miliardi facendo scendere l’Italia in fondo alla classifica dell’Ocse tra i paesi europei e appartenenti al G7. E gli sprechi sono diventati intollerabili: quasi 25 miliardi all’anno vengono erosi per più motivi (la stima prodotta dalla Fondazione Gimbe fa riferimento al 2015): sovra-utilizzo, frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, sotto-utilizzo, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell’assistenza. “Il rapporto Ocse del gennaio 2017 ha confermato che in sanità 2 euro su 10 vengono sprecati – scandisce il presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellotta -. Le responsabilità ricadono su tutti gli stakeholders, che devono impegnarsi a recuperarli con numerose strategie”.

Esami inutili prescritti e analisi salvavita in ritardo

Di fatto, vengono troppo spesso prescritti esami inutili, solo perché richiesti dal paziente con insistenza (sovra-utilizzo) e, al contrario, non sempre vengono erogate per tempo prestazioni necessarie, ad esempio gli screening per la prevenzione del cancro (sotto utilizzo): una mancanza che poi si ripercuote sull’intero sistema se la malattia si presenta e devono essere intraprese le cure. Inoltre, sebbene la centrale unica di acquisto stia cercando di unificare i costi, accade ancora che le stesse apparecchiature, ma anche accessori di uso più che comune come la siringa, costino in Calabria molto più che in Emilia-Romagna, spiegano dalla Gimbe.

Se la politica amplia i Lea ma chiude i cordoni della borsa

Il paradosso ulteriore, poi, sta nel fatto che – a fronte di una diminuzione di fatto del finanziamento pubblico – il paniere dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) è stato ampliato: “Noi siamo il Paese in Europa tra quelli con il più scarso finanziamento pubblico e il più ampio paniere di prestazioni essenziali, peraltro proprio recentemente (a gennaio 2017) riaggiornato e incrementato”, fa sapere Cartabellotta. Che spiega: “Il punto vero è che non esiste un metodo scientificamente rigoroso che stabilisca cosa è prestazione essenziale e cosa no, ma le decisioni vengono prese spesso su base politica o per rispondere alle richieste delle associazioni”.

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Medici “costretti”ad assecondare i pazienti

Inoltre, secondo la Fondazione Gimbe, non si è lavorato adeguatamente sui fondi integrativi e sulle assicurazioni private: “Nel resto d’Europa ricorrono ai fondi integrativi legati al contratto di lavoro il 40-45% delle persone, da noi meno del 10%”. Il tema delle liste d’attesa, infine, si inserisce nel ragionamento complessivo mostrando, anche in questo caso, un cattivo funzionamento del sistema: “Spesso in fila per una prestazione si trovano persone che hanno richiesto esami non necessari”. Un altro esempio? “La risonanza magnetica muscolo-scheletrica non andrebbe prescritta se non dopo le 4-6 settimane di dolore, ma oltre il 75% di quelle richieste è stato prescritto in modo inappropriato”. Questo perché, anche i medici di base, si trovano spesso nelle condizioni di assecondare i propri assistiti per il timore di perderli. Anche questo un circolo vizioso che si ripercuote sulla stabilità del sistema.