Il Governo vuole mettere le mani sulle pensioni delle vedove

Pensione di reversibilità solo a chi ha un basso indice Isee. Potrebbe essere questa la drastica conseguenza dell’attuazione del disegno di legge sul riordino delle prestazioni assistenziali e previdenziali approvato dal Consiglio dei ministri e ora in discussione in Commissione Lavoro alla Camera.

Una conseguenza fortemente osteggiata da più parti, a cominciare dalla Cgil che per prima ha denunciato l’assurdità dell’impianto del disegno di legge, fino alla presa di distanza da parte di Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera, per il quale l’ipotesi è semplicemente inaccettabile.

 

PENSIONI DI REVERSIBILITÀ AGGANCIATE ALL’ISEE

Se l’obiettivo dichiarato è quello di contrastare la povertà, riducendo sprechi e duplicazioni nell’erogazione di prestazioni assistenziali e previdenziali, l’effetto – almeno con riferimento alle pensioni di reversibilità – rischia di essere quello contrario.

Al centro della discussione è il disegno di legge di riordino delle prestazioni di natura assistenziale e previdenziale che, tra le altre cose, prevede di agganciare all’Isee le pensioni di reversibilità, ovvero quelle pensioni erogate agli eredi del lavoratore o del pensionato che aveva maturato i requisiti per l’assegno.

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Ma agganciare le pensioni di reversibilità all’Isee significa di fatto ridurre la platea degli aventi diritto. Questo perché l’Isee è l’indicatore che misura la ricchezza di una famiglia basandosi, oltre che sui redditi percepiti, anche sul patrimonio di ogni componente della famiglia.

Dunque – non contando più il solo reddito individuale, bensì l’intero patrimonio del nucleo familiare – la reversibilità rischia di spettare solo a chi non possiede ben poco: una casa, un terreno o qualche risparmio in banca potrebbero infatti facilmente far superare la soglia Isee che sarà individuata per avere diritto ai trattamenti assistenziali. E così, ad esempio, una vedova che convive con il figlio che ha un proprio reddito rischia di rimanere tagliata fuori.

 

PAOLO ONESTI: “MANOVRA PREOCCUPANTE”

“Bisogna combattere il principio che si vuol far passare – ci dice Paolo Onesti, giornalista ed esperto della materia pensionistica – ovvero che la pensione di reversibilità sia una ‘prestazione assistenziale’. Non è affatto così. I contributi che versiamo nel corso della vita lavorativa sono salario differito. La pensione uno se la paga”.

Una bocciatura netta, questa di Paolo Onesti, che bolla l’intenzione dello Stato di incamerare i contributi previdenziali versati dai lavoratori negandoli agli eredi che ne hanno diritto, come una “manovra strisciante che deve preoccupare”.

“È un dispositivo tremendo, incostituzionale – continua il giornalista – che denota una scarsa conoscenza della materia, un’incompetenza che rischia di fare un grosso danno. Tra l’altro si andranno a colpire pensioni da 1.500 euro lordi al mese, non certo pensioni d’oro. E anche le rassicurazioni del governo sulla non retroattività delle nuove regole, non può certo bastare: anche se si colpiranno solo le prestazioni future, ovvero quelle richieste dopo l’entrata in vigore dei decreti attuativi, è il principio che è errato e devastante”.

 

LE REGOLE ATTUALI

Oggi al superstite del pensionato o del lavoratore spetta un importo pari al 60% della pensione percepita dal defunto. Ma se l’erede possiede anche altri redditi che gli fanno superare specifiche soglie (stabilite dalla legge Dini, n. 335/1995) a questo importo si applicano delle riduzioni.

Per l’anno 2016, il limite di reddito annuo entro cui la pensione di reversibilità non subisce riduzioni è di 19.573,71 euro.
Superata questa soglia, la pensione subisce i seguenti “tagli”:

1) del 25% per i redditi Irpef che superano di tre volte il minimo INPS;

2) del 40% per i redditi Irpef che superano di quattro volte il minimo INPS;

3) del 50% per i redditi Irpef che superano di cinque volte il trattamento minimo INPS.