La mozzarella? Con latte congelato e cagliata estera

Mozzarella fresca prodotta, per un’azienda di Bolzano, in Polonia e pronta per essere venduta in Toscana. Cagliata tedesca destinata alle burrate, al “canestrato” e al cacioricotta pugliesi. E ancora formaggi “freschi” confezionati all’estero e marchiati con il tricolore italiano. Un lungo elenco del falso made in Italy è stato fermato al Brennero con l’aiuto delle forze dell’ordine dalla Coldiretti che ha organizzato un presidio sull’importante valico alpino per protestare contro “l’importazione di schifezze” cresciuto con la crisi del 28%. Un’operazione per dimostrare che oltre un terzo  dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati con il marchio made in Italy è ottenuta con l’impiego di materie prime straniere.

L’IDENTITA’ MASCHERATA

Dalle frontiere italiane, denuncia  in un dossier Coldiretti, passano ogni giorno 3,5 milioni di litri di latte sterile, ma anche concentrati, cagliate, semilavorati e polveri per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori. Tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri mentre la metà delle mozzarelle in vendita sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio indicarlo in etichetta, denunciano gli allevatori della Coldiretti che hanno scoperto numerosi carichi di prodotti lattiero caseari pronti per essere nazionalizzati.

Nell’ultimo anno, prosegue la Coldiretti, le cosiddete cagliate importate dall’estero hanno addirittura superato il milione di quintali che ora rappresentano circa 10 milioni di quintali equivalenti di latte pari al 10% dell’intera produzione italiana. Si tratta di prelavorati industriali che vengono soprattutto dall’Est Europa che consentono di produrre mozzarelle e formaggi di bassa qualità. La situazione rischia di aggravarsi, denuncia la principale organizzazione degli allevatori, con la richiesta della Commissione europea all’Italia di porre fine al divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari previsto storicamente dalla legge nazionale.

CHI GUADAGNA CON LA CONTRAFFAZIONE

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L’uso di una materia prima non sempre è vietato ma spesso, anche dove è ammesso, magari deve essere dichiarato in etichetta e comunque può alterare le qualità organolettiche del prodotto finali. In altri casi, come ad esempio la mozzarella di bufala campana Dop l’uso di latte congelato o estero è proprio vietato. Nel numero scorso del mensile il Test (numero 4, agosto 2015) dedicato proprio alla “regina” campana abbiamo intervistato Roberto Battaglia, il casaro che tre anni fa – minacciato dalla camorra – ha lasciato il casertano chiamato alla corte di Oscar Farinetti che l’ha voluto nel suo Eataly romano: “La sofisticazione maggiormente utilizzata dai caseifici è l’uso del latte di bufala italiano congelato. Si tratta sì di una violazione del disciplinare di produzione ma anche, soprattutto, di un buon modo per risparmiare sulla materia prima e riuscire, di conseguenza, ad assicurare i rifornimenti di mozzarella Dop alla grande distribuzione ad un prezzo massimo di 6,50 euro al chilo”. Altro vantaggio economico per i contraffattori è l’uso, al posto del latte di bufala fresco, della cagliata congelata proveniente dall’estero. Un vero e proprio reato difficile da smascherare (come nel caso dell’uso di latte congelato, d’altronde): “Le cronache giudiziarie sono piene di storie del genere – racconta Battaglia an- che se non riesce a quantificare numericamente il fenomeno -. La cagliata viene scongelata di notte e al mattino diventa magicamente latte e nessuno saprà la sua provenienza a meno che i controlli non giungano in caseificio nell’attimo in cui si procede allo scongelamento”.

NUOVI METODI DI ANALISI

Smascherare chi utilizza latte congelato o cagliata estera non è facile anche se si stanno mettendo appunto nuovi metodi di analisi per contrastare il fenomeno e proteggere i veri formaggi “freschi” italiani. Sei anni fa un gruppo di lavoro coordinato dai professori Michele Faccia e Aldo Di Luccia, docenti rispettiva- mente dell’Università di Bari e Foggia, ha messo a punto un metodo analitico, validato scientificamente ma non ancora accreditato, che permette di stabilire, attraverso lo studio della caseina, l’età del latte utilizzato nei latticini, sia di bufala che vaccino. Ha spiega al Test il professor Faccia: “Abbiamo accertato che nel caso di produzione con latte fresco la degradazione della caseina (una delle due proteine tipiche) è appena accennata. Se invece si usa latte congelato il deterioramento proteico è molto evidente”. Si tratta – aggiunge il professore – di una metodica che i produttori avrebbero tutto l’interesse di incoraggiare e utilizzare e, invece, nessuno di loro ci ha mai commissionato analisi del genere.