Sigaretta “senza fumo” della Philip Morris, fa davvero meno danno?

PHILIP MORRIS OMS IQOS

È possibile sostituire le sigarette tradizionali con un’alternativa “salutista” che non faccia perdere il sapore del tabacco? Le sigarette elettroniche, le cosiddette e-cig, sono riuscite a centrare l’obiettivo solo in parte: sono infatti senza combustione, per cui riducono gli effetti nocivi del fumo, ma utilizzano delle ricariche aromatiche e non tabacco (e il rischio per il loro uso è legato proprio alla composizione dei liquidi, a volte un mix di sostanze indesiderate).

Adesso, però, il mercato si prepara all’invasione dell’iQOS, un riscaldatore ideato dalla Philip Morris che, a differenza delle sigarette elettroniche, non usa ricariche aromatiche ma stick di tabacco vero e proprio.

Ora che il cosiddetto “decreto fumo” (d.lgs. n.6/2016) sta per entrare in vigore (la data di esordio è il 2 febbraio), la multinazionale scalda i motori. Il decreto, infatti, tra le altre cose indica le procedure di notifica che produttori e importatori di prodotti del tabacco di nuova generazione dovranno seguire prima di immetterli sul mercato. La notifica (che va fatta al ministero della Salute e al ministero dell’Economia) dovrà essere corredata dagli studi scientifici sulla tossicità al momento disponibili. Ricevuta questa documentazione, il ministero della Salute avvierà le verifiche dei centri di ricerca istituzionali che dovranno confermare (o smentire) se il rischio è davvero ridotto.

Ma come funziona l’iQOS? Il meccanismo si compone di due parti: una elettronica che scalda (ma non brucia) il tabacco e uno stick che contiene filtro e tabacco lavorato. Quest’ultimo, dunque, essendo solo “riscaldato” evapora e non produce le tipiche sostanze della combustione, nocive per l’organismo e l’ambiente. Per chi lo aspira, almeno secondo la promessa della multinazionale del tabacco, i danni alla salute dovrebbero essere limitati.

 

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“LA SICUREZZA È TUTTA DA DIMOSTRARE”

Netto nel bocciare le iQOS è il dott. Silvano Gallus dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri: “Tutti gli studi tossicologici realizzati finora sulla iQOS – ci conferma – sono stati condotti e finanziati dalla Philip Morris stessa. È lampante l’assenza di studi indipendenti condotti per quantificare il reale livello di tossicità di questi dispositivi. Finora è stato pubblicato soltanto uno studio sull’iQOS da colleghi giapponesi, ma in quel caso la ricerca mirava a stimare le percentuali di consapevolezza e di utilizzo di sigarette elettroniche e a base di tabacco riscaldato tra la popolazione giapponese, compresi i minori. Nessun controllo sulla tossicità“.

“La verità è che l’iQOS, anche se non produce combustione, utilizza il caro vecchio tabacco, ovvero lo stesso prodotto attualmente responsabile soltanto in Italia di circa 70mila morti evitabili l’anno”, continua Gallus. “Pertanto, sebbene sia ragionevole pensare che la sigarette senza combustione sprigioni meno sostanze potenzialmente nocive rispetto alla sigaretta convenzionale, è di fondamentale importanza che le riduzioni delle emissioni di sostanze siano confermate da studi scientifici indipendenti, che dovrebbero essere promossi e finanziati dal ministero della Salute. Infine, è lecito domandarsi se una riduzione anche netta di sostanze tossiche sprigionate da iQOS si rifletta o meno in una riduzione altrettanto netta del rischio per la salute“.

E certamente, è opinione del dott. Gallus, immettere sul mercato prodotti innovativi senza combustione può mettere a rischio gli sforzi finora compiuti per contrastare il tabagismo: “la maggior parte dei fumatori non sostituirà totalmente la sigaretta convenzionale, ma continuerà a fumarla insieme ai nuovi dispositivi, accettati laddove la prima è bandita. Lo si è visto già con le e-cig”.

 

“SERVONO STUDI INDIPENDENTI”

Anche il professor Riccardo Polosa, ordinario di Medicina interna dell’Università di Catania e direttore scientifico della onlus Liaf, la Lega italiana antifumo, si aspetta di vedere quanto prima studi che approfondiscano la questione.
“Le sigarette a tabacco riscaldato che sono disponibili sul mercato italiano – ci dice – sembrano assicurare una sostanziale riduzione in termini di emissione di sostanze tossiche che si attesta intorno al 90% in meno rispetto alle sigarette convenzionali. Tuttavia, i dati attualmente disponibili sono solo quelli diffusi dal produttore e inoltre va considerato che non tutte le sigarette a tabacco riscaldato danno le stesse garanzie da un punto di vista tossicologico. Altri prodotti attualmente commercializzati negli Stati Uniti, ad esempio, presentano performance di sicurezza decisamente inferiori”.

Insomma, anche secondo Polosa sono necessarie verifiche da parte di gruppi di ricerca indipendenti: “Esatto. Mentre la ricerca applicata alla sigaretta elettronica sta avendo un clamoroso successo in termini di produttività – con studi scientifici indipendenti che vengono pubblicati su base settimanale – sul tema delle sigarette a tabacco riscaldato non sono ancora disponibili ricerche indipendenti che possono confermare o meno la sicurezza del prodotto e la sua appartenenza alla categoria a rischio ridotto. Inoltre, il dossier presentato dal produttore è focalizzato sulla dimostrazione in laboratorio della riduzione di emissioni di sostanze tossiche o cancerogene da parte delle sigarette a tabacco riscaldato. A me piacerebbe vedere dati clinici ottenuti da utilizzatori in carne e ossa“.

 

L’ISS NON SI PRONUNCIA

Solo l’Istituto Superiore di Sanità, al momento, ha preferito non rilasciare alcun commento sull’argomento. “Troppo fresca la novità per poter dare una prima valutazione – ci fanno sapere dall’ufficio stampa – e, soprattutto, ancora nessun incarico ufficiale per iniziare la ricerca. Che, però, sicuramente si farà”.

 

IL BUSINESS DELLA PHILIP MORRIS

Quel che è certo, intanto, è che la Philip Morris su questo progetto scommette molto, dato che conta di mandare al più presto a regime lo stabilimento (inaugurato nel bolognese dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi) che realizzerà l’iQOS per il mercato mondiale, occupando circa 600 dipendenti. Un investimento, insomma, non indifferente.
Le sigarette “senza fumo” al momento sono vendute in Giappone, a Milano, Torino, Genova Bologna e Roma .

Senza troppo clamore al momento, a dire il vero. Probabilmente, in attesa che entri in vigore lo “sconto” di Stato previsto da un decreto sui «tabacchi da inalazione senza combustione»: uno sconto delle tasse del 50% rispetto a tutti gli altri tabacchi. Quando ciò diverrà realtà, sarà un bell’aiuto per la multinazionale del tabacco.