I sospetti su carne rossa e insaccati? Le prove già 10 anni fa

Niente di nuovo, è una non notizia. Così la stampa italiana – o almeno gran parte di essa – ha commentato a caldo la sentenza senza appello dell’Oms sugli insaccati e quella comunque pesante sulla carne rossa. Affrettandosi a consigliare prudenza nell’escludere questo alimento. È davvero così? Sì e no.

È vero che l’allarme è noto (e come leggerete confermato da oltre 10 anni). È falso che il solo fatto di rappresentare una sentenza già emessa nei confronti della carne le tolga valore. Al contrario

Un pericolo noto da almeno 10 anni

Il sospetto di sempre diventa evidenza scientifica nel 2005 grazie al più grande studio epidemiologico mai realizzato sul legame tra alimentazione e tumore: la ricerca Epic (European prospective investigation into cancer and nutrition), condotta in 10 paesi europei, compresa l’Italia, attraverso 23 centri coordinati dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms. Il risultato è sconcertante: chi consuma carne rossa fresca, ovvero manzo, vitello, maiale e agnello, o conservata, cioè prosciutto, bresaola, mortadella e salame, ha più probabilità di ammalarsi di cancro al colon e al retto. Questo rischio cresce in proporzione alla quantità di carne che si consuma, fino a raddoppiare in chi ne mangia più di 200 grammi ogni giorno, rispetto a chi ne assume meno di 20 grammi al giorno. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Journal of the national cancer institute, ovviamente rimbalza su tutti i giornali.

È il Salvagente, all’epoca, a intervistare il dottor Franco Berrino dell’Istituto tumori di Milano, coordinatore italiano della ricerca europea: “La logica dello studio Epic, cominciato 16 anni fa, è di studiare il rapporto tra cancro e alimentazione, mettendo a confronto popolazioni con abitudini alimentari molto diverse”, raccontava Berrino.

Il problema? Nitrosammine nitrati

Ma per quanto grande Epic non è il primo studio del genere. Dagli Usa era venuta più di un’accusa alla carne rossa, ma con studi che avevano il difetto di coinvolgere popolazioni che mangiavano le stesse cose. E questo rendeva più difficile stabilire un legame univoco tra causa ed effetto.
L’indagine epidemiologica di 10 anni fa, invece, prese in esame quasi 500mila persone sane, residenti in un’area che andava dal Sud dell’Italia al Nord della Norvegia.
“I risultati sono stati molto chiari – aveva commentato il dottor Berrino al Salvagente – e hanno permesso di dire, oltre ogni ragionevole dubbio, che le carni rosse e, soprattutto, quelle conservate, come carni in scatola, insaccati e würstel, sono associate a un aumento del rischio di tumore”. Il meccanismo all’origine del rischio camcro?

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Già allora era chiaro: le nitrosammine, i composti dell’azoto che si formano nell’intestino durante la digestione e l’aggiunta – specie negli insaccati – di conservanti come i nitrati.