Martina: “Gli schiavisti dei campi italiani vanno trattati come i mafiosi”

L’ultimo tassello della drammatica statistica dei lavoratori morti di fatica nei campi italiani è arrivato a inizio settembre, dopo un mese di ricovero in ospedale: il tarantino Ancangelo De Marco, 42 anni, colpito da un malore nei campi del Metapontino, si aggiunge così a Zaccaria, Mohamed e Paola, gli altri tre braccianti scomparsi a causa degli insostenibili ritmi lavorativi e dello sfruttamento. Forse il fatto che per la prima volta ci fosse un’italiana – ci riferiamo al drammatico caso di Paola Clemente – tra le vittime dello schiavismo nei campi, è stato la miccia che ha spinto il governo a dichiarare guerra aperta al caporalato.

Il Test, che ha aderito da subito alla campagna #FilieraSporca, organizzata da Terra! Onlus, daSud e Terre Libere per porre un freno a questo schiavismo “made in Italy”, ha intervistato il ministro delle Politiche agricole, forestali e alimentari, Maurizio Martina. Che rivendica da subito di non essere arrivato sull’onda delle morti nei campi: “Il caporalato è piaga antica e inaccettabile, ma non ce ne siamo accorti adesso”.

Ministro Martina, cosa ha fatto il governo prima di questo settembre?

Nel silenzio generale, a novembre 2014 il governo creava uno strumento specifico come la Rete del lavoro agricolo di qualità contro lo sfruttamento dei lavoratori. Abbiamo messo insieme sindacati, organizzazioni agricole e istituzioni proprio perché si tratta di un problema complesso, che richiede un lavoro di squadra. Come abbiamo ribadito con i ministri Poletti e Orlando c’è bisogno di un salto di qualità.

In che modo?

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Il caporalato va combattuto come la mafia, pensiamo alla mobilitazione sociale che c’è stata contro la criminalità organizzata. Va abbattuto il muro di gomma che avvolge questo fenomeno criminale, per questo motivo il lavoro di Filiera Sporca e delle associazioni è importante.

I promotori di Filiera Sporca tra cui il Test chiedono l’obbligo di pubblicazione dell’albo di fornitori e subfornitori e l’introduzione di un’etichetta narrante.

Trasparenza e informazioni ai consumatori sono armi che vogliamo utilizzare per mettere fuori gioco chi non rispetta la legge. Dobbiamo trovare strumenti efficaci, ma sull’etichetta stiamo facendo un lavoro importante, anche a Bruxelles. È necessario che anche le aziende prendano l’iniziativa: una buona informazione, non ingannevole, può venire anche da loro.

Il caporalato è solo una parte di una filiera che presenta diverse storture…


Nessuno può pensare di ottenere margini economici dallo sfruttamento dei lavoratori. Allo stesso tempo sappiamo dei problemi che hanno alcune filiere, in particolare nella remunerazione dei costi di produzione. Non è un caso che il governo in poco più di un anno abbia approvato due decreti d’urgenza per l’agricoltura. Stiamo intervenendo per tutelare il reddito con sgravi fiscali, incentivi al ricambio generazionale, sostegno ai contratti di rete e di filiera per aggregare l’offerta e rendere gli agricoltori meno deboli sul mercato. E stiamo portando avanti un taglio alla burocrazia senza precedenti, perché anche questo è un freno enorme alle imprese.

La Rete del lavoro agricolo non rischia di far passare il messaggio che il rispetto dei diritti dei lavoratori sia una scelta volontaria?

La Rete deve valorizzare il lavoro delle aziende in regola e costruire un modello di intervento costante e coordinato. La cabina di regia è un luogo permanente di lavoro, dove si costruiscono scelte condivise. Dobbiamo rendere la Rete operativa anche sul territorio e procedere con alcune misure urgenti, come la comunicazione preventiva dell’utilizzo di operai a tempo determinato in agricoltura. Un’innovazione come questa non deve ridursi a un “bollino”.

I produttori stanno aderendo?

A dieci giorni dall’avvio delle iscrizioni ci sono state importanti realtà internazionali importatrici di prodotti italiani che sono interessate a utilizzare la Rete per scegliere i fornitori.

E i proprietari dei terreni che temono la confisca per responsabilità di aziende terze?

Vogliamo colpire chi sfrutta i lavoratori attraverso la confisca come per i mafiosi. Colpire in solido anche le aziende e non solo le persone ha una funzione deterrente. Il sequestro è una misura grave, ma risponde a un reato intollerabile, per questo ci deve essere una responsabilità diretta nello sfruttamento, valutata dagli organismi competenti. Gli imprenditori seri non hanno nulla da temere e non devono subire una concorrenza più che sleale.